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Finanza e Mercati In primo piano

Gli stress test «a maglia larga» risvegliano i timori sui debiti sovrani

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Questo articolo è stato pubblicato il 08 settembre 2010 alle ore 07:47.

Lo scorso 23 luglio, alla pubblicazione degli stress test sulle banche europee condotti dal Committee of European Banking Supervisors (Cebs), il mercato tirò un sospiro di sollievo. A stemperare le tensioni non fu però tanto il fatto che soltanto 7 istituti di credito su 91 esaminati, e neppure i più importanti, avessero fallito la prova e fossero costretti a effettuare operazioni di ricapitalizzazione per complessivi 3,5 miliardi di euro.

La reazione fu invece conseguenza del nuovo rapporto di fiducia che si era instaurato fra i mercati e le banche protagoniste della peggiore crisi finanziaria che si fosse vista dal 1929. «Gli stress test sono stati davvero un esercizio di trasparenza molto importante e apprezzato», aveva commentato a caldo il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet. Più o meno le stesse parole utilizzate dagli analisti delle varie banche d'affari, pronti a sottolineare più il valore aggiunto della credibilità che i numeri veri e propri emersi dalla simulazione.

La mancata corrispondenza fra i dati sull'esposizione sul debito sovrano al 31 marzo scorso che le banche hanno presentato al Cebs e quelli raccolti alla stessa data e pubblicati due giorni fa dalla Banca dei regolamenti internazionali (Bri) potrebbe però intaccare questa fiducia. Le banche europee, secondo l'analisi del Wall Street Journal, avrebbero sottostimato l'ammontare di titoli di Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna per incorrere in minori svalutazioni e superare così il test. Un'accusa per certi versi infamante, che non è però facile da provare: prima di tutto perché i dati raccolti dalla Bri sono a livello aggregato, valgono cioè per l'intero sistema nazionale, e quelli degli stress test (quando disponibili) si riferiscono soltanto alle singole banche che vi hanno partecipato.

Ma il confronto è complicato anche perché non è detto che le cifre riportate ai due diversi organismi siano necessariamente le stesse. Per gli stress test, ad esempio, alcuni istituti avrebbero comunicato i dati dell'esposizione al netto degli strumenti utilizzati per coprire i rischi connessi a tali asset, altri avrebbero escluso dal conteggio quanto detenuto dalle controllate, altri ancora avrebbero sottratto i titoli in portafoglio riconducibili ad attività di trading di terzi. «Ci siamo attenuti alle indicazioni fornite dal Cebs», hanno risposto quasi in coro le banche tirate in ballo e forse il problema sta proprio qui: le autorità di vigilanza hanno disegnato una griglia dalle maglie larghe e in queste si sono abilmente inserite le banche.

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Il WSJ lancia l'allarme stress test: le banche europee sottostimano i titoli di stato rischiosi

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Tags Correlati: Banca dei regolamenti internazionali | Bce | Bri | Committee of European Banking Supervisors | Istituzioni dell'Unione Europea | Jean-Claude Trichet | Luigi De Sanctis | Marco Sticchi | Nemesis | Oliver Wyman

 

Difficile capire se tutto ciò sarà sufficiente a creare un nuovo distacco fra investitori e istituti finanziari. «Se i mercati avessero davvero creduto in una manipolazione dei dati da parte delle banche credo che si sarebbe visto un calo ben più pronunciato dei listini», osserva Luigi De Sanctis, senior manager di Oliver Wyman, che pure non nasconde i timori: «se i sospetti dovessero essere provati, l'effetto derivante dal danno reputazionale sarebbe devastante». Ma c'è anche chi tende a minimizzare: «In fondo le informazioni sulle singole banche sono già uscite a luglio e da allora sono state analizzate da decine di uffici studi che ne hanno tratto le conclusioni», sostiene Marco Sticchi, gestore di Nemesis Asset Management. Se così fosse, si tratterebbe della classica tempesta in un bicchier d'acqua.

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