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Cda straordinario di Unicredit. Ipotesi di dimissioni per Alessandro Profumo

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Questo articolo è stato pubblicato il 20 settembre 2010 alle ore 14:17.

Il ceo di Unicredit, Alessandro Profumo, verso le dimissioni. Lo scenario più probabile, secondo quanto risulta a Radiocor, è che il presidente Dieter Rampl rilevi le deleghe di Profumo. Nel nuovo ruolo il presidente verrà supportato dai quattro manager attualmente al vertice del gruppo (Roberto Nicastro, Paolo Fiorentino, Federico Ghizzoni, Sergio Ermotti). Il ruolo di Rampl risulta transitorio anche se per l'assetto definitivo non c'é alcuna fretta, né stanno maturando candidature estere. Di sicuro il presidente Rampl, secondo quanto risulta a Radiocor, negli ultimi giorni ha preparato il passaggio delle consegne confermando accordi blindati con i grandi azionisti del gruppo. Di più, secondo quanto risulta al Sole24ore, potrebbe essere lo stesso Profumo a offrire le dimissioni. Ma siamo sempre nel campo delle ipotesi : «Ha sempre agito con onestà di intenti e non è uno che si rassegna», osserva un banchiere di lungo corso.

Dal canto suo Profumo, non ha risposto, opponendo il silenzio, alle domande dei cronisti sull'ipotesi di sue dimissioni. Il banchiere ha lasciato poco prima della 20 la sede di Piazza Cordusio per recarsi a piedi al Teatro Dal Verme dove è in programma un concerto in memoria di Giorgio Ambrosoli.

Insomma, il caso Libia sembra arrivato al redde rationem. L'incremento della partecipazione del socio nord africano in piazza Cordusio ha suscitato forti malumori. Una fibrillazione che oggi ha oltrepassato tutti i livelli di guardia. Già i livelli di guardia. Ma chi avrebbe di più puntato i piedi o, meglio, usato l'incremento della quota di Tripoli come casus belli? La risposta non può che essere articolata. Tuttavia, non è un mistero che dalla Germania, negli ultimi tempi, le critiche alla gestione di Profumo si sono fatte sempre più forti. E l'attivismo di Rampl ne è l'indizio: era stato lui tra quelli a premere per mettere in agenda, giovedì a Milano, una riunione del comitato strategico, insieme ai comitati nomine e remunerazioni. Adesso comunque, tutto questo sembra appartenere un po' al passato. Un passato che potrebbe vedere un cambio al vertice della banca, domani. Dopo che, oggi, le notizie si sono susseguite senza soluzione di continuità.

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Il comunicato libico
Andiamo per ordine: la giornata di oggi è iniziata con l'intervento ufficiale di Tripoli. La Banca Centrale Libica si è detta «estremamente soddisfatta» per l'investimento in UniCredit. In particolare, l' istituto centrale della Libia è contento anche per le «relazioni in corso con le Autorità italiane». Sempre in merito alla partecipazione detenuta in UniCredit, la Banca centrale libica ricorda poi che quest'investimento risale all'inizio degli anni '90, ai tempi dell'allora Banca di Roma.

Inoltre, dice sempre Tripoli, nel 2008 diverse banche internazionali hanno chiesto alla Banca centrale libica di acquistare una partecipazione strategica. Pertanto, il consiglio della banca ha deciso che incrementare la partecipazione in UniCredit fosse in linea con i criteri d'investimento in "equity" di lungo termine, e che una tale operazione avrebbe rafforzato ulteriormente i rapporti economici tra il paese nord africano e l'Italia. «La Banca centrale - fanno sempre sapere sempre da Tripoli - è un'istituzione indipendente governata dalla legge bancaria libica del 2005. Tutte le regole e i regolamenti relativi alla Banca centrale sono decisi dal suo board».

La storia delle quote libiche
Com è noto, il problema si è aperto ufficialmente nel momento in cui la Lia, Lybian Investment authority, ha acquistato (come anticipato dal sole24ore ) verso inizio settembre una nuova percentuale del capitale di Piazza Cordusio, portatandosi al 2,59% di UniCredit. Un incremento che si è "aggiunto" alla quota già posseduta dalla Banca centrale libica del 4,988% (il 4,052 detenuto direttamente; lo 0,561% con la Lybian Foreign Bank). La Consob, giocoforza, è entrata in campo. Da un lato, come si sa, le prime quote rilevanti al fine della comunicazione al mercato sono il 5% e il 10% del capitale. Come dire, insomma: la Lia non era tenuta, a norma dell'articolo 120 del Tuf, a comunicare l'acquisizione. Evidentemente è stata fatta una moral suasion che ha portato alla nota di oggi di Tripoli.

Altra questione, invece, è quella che riguarda i legami tra la Banca centrale libica e la Lia : sono, o meno, sottoposti alla stessa regia, quella del colonnello Muhammar Gheddafi? In questo caso, infatti, sarebbe sfondato il tetto del 5% che impone l'obbligo di comunicazione all'autorità di controllo. Su questo fronte, a quanto ha appreso il sole24ore.com, è ancora in corso la valutazione della possibile violazione dell'articolo 120 del Tuf.

La soglia del 5% nello statuto di UniCredit
Fin qui il terreno della Consob. Ben altro tema, molto più rilevante, è quello della partita che si gioca sullo statuto interno di UniCredit che impone il tetto del 5%, come quota al di sopra del quale viene poi sterilizzato il diritto di voto così come imposto nella privatizzazione del vecchio Credito Italiano nel 1994.

Al di là delle soglie di capitale, è ovvio che la crescita di Tripoli nel capitale di UniCredit è una questione che coinvoge il mondo politico.

Chiamparino: la Libia non mi dà fastidio
«Non mi dà fastidio la presenza dei libici - ha detto Sergio Chiamparino, sindaco di Torino , a Radio24 - a condizione che questo non metta in discussione il ruolo di grande banca che UniCredit ha saputo conquistarsi in questi anni». «Però - ha aggiunto - siccome a suo tempo sono stato attaccato perché sospettato di ingerenza nelle banche, non ho nulla da dire sull'azionariato. Si pronuncino gli azionisti. Se io mi pronuncio su ciò che può o deve fare la fondazione Crt (azionista di UniCredit, ndr) é perché ritengo di averne il diritto, ma su ciò che deve fare UniCredit si pronunci l'azionista Crt».

La Lega: è una scalata
Di ben diverso avviso è stato l'intervento del sindaco leghista di Verona Flavio Tosi: «Profumo - ha detto - è sicuramente un manager di alto profilo, ma questa vicenda l'ha gestita un po' in proprio. Normalmente chi svolge il suo ruolo non ha solo compiti di leadership ma anche di coordinamento». In serata, però, a Radiocor ha specificato che: «Se ci fosse qualche tipo di decisione sui vertici di UniCredit, la scelta non può essere fatta dipendere dalla Lega Nord». «Se il cda sceglierà qualcosa - ha proseguito Tosi - la scelta dipenderà da questioni bancarie e non politiche».

Tabacci: chi è l'amico di Gheddafi?
Più articolato, invece, il commento di Bruno Tabacci, che scinde la questione in due aspetti: da un lato il profilo finanziario, con i vincoli statutari che sicuramente «verranno fatti valere» e che «bloccano gli ingressi a un massimo del 5%», elemento che consente di «stare tranquilli»; dall 'altro, «c'è il problema politico: bisogna chiedersi chi è l'amico di Gheddafi, chi lo ha fatto venire in Italia a fare le sue sceneggiate?» E allora, dice il cofondatore di Api «non ha senso chiedere a Profumo di fare da argine. Fare argine a chi? E come? Il punto sono i rapporti tra il nostro governo e i libici».

Dal canto suo il direttore del centro studi di Confindustria Luca Paolazzi, ha detto che «Finché i fondi sovrani sono trasparenti e perseguono solo obiettivi di mercato, ben vengano».

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