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Finanza e Mercati In primo piano

Ecco perché le banche centrali acquistano oro e snobbano i titoli del debito pubblico

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Questo articolo è stato pubblicato il 27 settembre 2010 alle ore 16:19.

L'anno scorso Pechino aveva annunciato di aver duplicato le proprie riserve in oro: con 1.054 tonnellate del prezioso metallo giallo, la Cina è diventata il quinto "detentore" al mondo di lingotti. Siamo ancora lontani dalle 8.134 tonnellate degli Stati Uniti o dalle 2.452 della stessa Italia. Ma se si pensa che, di recente, India, Russia, Arabia Saudita, Filippine hanno fatto incetta di oro, allora ben si può comprendere che qualcosa stia cambiando. Per la prima volta dal 1988, le banche centrali nel loro insieme sono acquirenti netti sul mercato dei lingotti.

Una bella inversione a «U». Negli ultimi 20 anni, il trend era contrario. I banchieri centrali avevano fatto una corsa all'oro all'inverso. Avevano venduto, e non comprato il metallo giallo. Adesso è cambiato il mood di fondo. Per quale motivo?

Molti esperti rispondono in maniera "tradizionale": a fronte dell'enorme liquidità immessa sui mercati, le operazioni sul "gold" possono essere interpretate in maniera anti-inflazionistica; senza dimenticare, poi, che sempre la grande massa monetaria può destabilizzare il valore degli asset cartacei.

C'è però una risposta un po' più maliziosa. Cioè che le banche centrali non si fidino poi troppo di un altro tipo di asset "cartaceo": i titoli di stato. Certo, i loro bilanci ne sono già "pieni". Basta ricordare qual è il "giochino" che, per esempio, viene realizzato dalle banche americane, insieme alla Fed. Con i tassi a breve di fatto a zero, gli istituti americani si fanno prestare denaro dalla Federal reserve. Con questi soldi comprano titoli di stato a lunga scadenza (il trentennale offre un rendimento attorno al 4%), lucrando la differenza tra il rendimento del bond acquistato e il tasso (come detto praticamente a zero) a cui prendono i denari in prestito. Denari che sono garantiti anche da quei titoli di stato che sono stati comprati.

Come si vede un bel circolo decisamente poco virtuoso, che potrà creare notevoli problemi e che, di fatto, riempe i bilanci di Ben Bernanke di treasury. Ma si sa: il debito pubblico corre; il deficit anche. E allora? Allora, per non saper né leggere né scrivere, si guarda altrove. Si compra oro. Le banche centrali non lo diranno mai, ma evidentemente non si fidano più troppo a comprare debito degli stati sovrani.

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Il rally dell'oro
Al di là di quest'aspetto, è chiaro che una simile strategia aiuta non poco il rally del lingotto. Evy Hambro, manager di Blackrock's Glod & general fund, dice che: «Si tratta di uno dei sostegni all'attuale crescita dei prezzi dell'oro». Che, peraltro, in molti si domandano se non sia entrato in una fase da bolla. Marc Faber, uno dei massimi esperti di materie prime e da tempo sostenitore della crescita sul lungo periodo delle quotazioni del lingotto, ha sempre detto che fino a quando non sente la gente comune parlare di oro lui non si preoccupa.

Bé, proprio la scorsa settimana, all'aeroporto di Orio al Serio (Bergamo) è stato aperto una sorta di "distributore automatico" del prezioso metallo giallo. Un segnale che la situazione sta cambiando? Che non è più solo la grande liquidità a riversarsi sul lingotto di carta per avere un buon ritorno sull'investimento? Bisognerà vedere. Mobius, agli amici e a chi lo conosce bene, in privato usa fare una battuta: la finanza è come il sesso; prima o poi quello che va su, poi torna giù.

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