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Questo articolo è stato pubblicato il 23 settembre 2010 alle ore 08:58.
La recuperata forza dell'euro, salito fino a 1,344 sul dollaro, il massimo degli ultimi 5 mesi, poggia quasi esclusivamente sulla debolezza della valuta americana. I politici europei preferiscono dare una lettura diversa delle cose, accreditando la ritrovata virtù della nostra valuta. Così ha fatto José Zapatero, dichiarando che «la crisi, che ha afflitto Spagna e tutta l'area euro, è passata». Probabilmente, la crisi s'è momentaneamente sopita, come dimostrerebbe l'esito positivo dell'asta di ieri sui titoli portoghesi.
Ma le accresciute preoccupazioni sulle sorti dell'economia americana, dopo l'analisi fatta martedì dal Federal Open Market Committee, sono ritornate a pesare sulle borse e condizionare i mercati finanziari. Curiosamente ne hanno risentito di più le piazze europee che hanno chiuso in netto calo (-1,44% lo Stoxx, -1,81% Milano, -1,3% Parigi, -1,08% Francoforte e -0,44% Londra), mentre Wall Street mostra una inspiegabile resistenza, con l'S&P sceso solo dello 0,48% (-0,63% il Nasdaq afflitto pure da una serie di cattive notizie sui titoli tecnologici).
Dai commenti degli analisti e degli economisti è piuttosto evidente che le negative reazioni di ieri sono il risultato di una quadro macroeconomico deteriorato, come ha fatto intendere la Fed. Jan Hatzius, capo economista di Goldman Sachs così interpreta il testo del Fomc: la crescita negli Usa da «piccola» è stata rivista a «contrastata», si prospetta una minor spesa per investimenti e si nota un'ulteriore contrazione dei prestiti bancari. Di conseguenza è accresciuta la propensione della Fed a utilizzare altri stimoli monetari, poiché il vero pericolo è adesso la deflazione.
Il messaggio tutt'altro che positivo era stato sostanzialmente sottovalutato da Wall Street, forse in ossequio alla teoria del «tanto peggio, tanto meglio»: se non altro perché la nuova e abbondante liquidità elargita dalla Fed con l'acquisto di titoli (anche ieri la banca centrale ha assorbito Treasury per 2 miliardi di $) finisce per dare un'artificiale spinta alle borse. Ma il messaggio era stata ben recepito dai titoli di stato e dall'oro, le cui quotazioni erano salite fin dalla serata di martedì. Ieri sono balzate ulteriormente.
Quelle dell'oro, a un massimo giornaliero di 1.296 $, sono al nuovo record; quelle dei titoli di stato sono pressoché ai massimi storici: di conseguenza i rendimenti del decennale sono crollati al 2,54% e quelle dei biennali sono finite sotto lo 0,42% come mai s'era visto, segnalando che nessun aumento dei tassi d'interesse è previsto fino alla fine del prossimo anno. Mai la fine della recessione, ufficialmente fissata al giugno 2009 dal Nber, ha lasciato tanto amaro in bocca.
Se il rifugio nei Treasury è favorito dalla politica monetaria della Fed, la corsa all'oro dimostra la volontà di volersi assicurare dai rischi, se non proprio di una nuova recessione, quanto meno da una futura anemica crescita economica. Curioso che Bill Gross, il numero uno di Pimco, dopo aver annunciato gli avvenuti forti acquisti di Treasury e altri bond americani (per 40 miliardi di $), alimentando pure i sospetti di una sua contiguità con i membri della banca centrale, abbia fatto intendere che la Fed è in «procinto di abbassare dal 3 al 2% le stime di crescita del Pil» per il prossimo anno. Oro e titoli di stato non sono in realtà l'unica alternativa alle borse. Ieri sono proseguiti e intensificati gli acquisti su un vasto paniere di materie prime: soprattutto sul rame che, superati i 356 $, è a un passo dai massimi relativi di aprile.
Una crescita economica più lenta del previsto e soprattutto il ritorno della Fed al quantitative easing (abbondante liquidità) sono la miscela che sta schiacciando il dollaro. Il future sulla valuta Usa è tornato ai livelli di febbraio, indebolendosi su tutte le valute. Di conseguenza si sono intensificate le voci di imminenti interventi da parte di alcune banche centrali (tra cui quella brasiliana e quella nipponica) a sostegno della valuta americana. Il rischio è che si crei una pericolosa disaffezione sul dollaro se è vera la l'affermazione fatta ieri dal responsabile dei mercati emergenti presso Guggenheim Securities che «un grande fondo sovrano del Medio oriente ha venduto massicciamente dollari per comprare euro».
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