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Moody's pronta ad alzare il rating sulla Cina. Lo yuan vola ai massimi dal 1994

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Questo articolo è stato pubblicato il 08 ottobre 2010 alle ore 11:56.

Dopo una sfilza di downgrade (basta vedere i recenti giudizi su Grecia, Portogallo, Spagna e Irlanda) potrebbe arrivare una promozione su un debito sovrano. In tempi favorevoli dovrebbe essere la norma. Ma in periodi come questo si tratta di un'eccezione. Eccezione che però arriva molto lontano dall'Europa. L'agenzia Moody's ha, infatti, messo sotto osservazione il rating sulla Cina, per un possibile upgrade rispetto all'attuale A1.

Secondo l'agenzia l'eventule promozione si giustifica con la performance dell'economia cinese (che dovrebbe crescere del 9,5% nel 2010 dopo il +9,1% nel 2009 e che a luglio ha scavalcato il Giappone al secondo posto delle economie mondiali), la prospettiva di forte crescita nel medio termine e la convinzione che Pechino possa gestire tranquillamente i rischi derivanti dal recente boom del credito bancario.

Moody's, che ha una visione positiva della Cina dal novembre 2009, deciderà entro tre mesi se alzare il rating. «I rapporti dello scorso anno dimostrano che la risposta politica della Cina alla crisi del 2008 è stata efficace», ha detto in un comunicatoTom Byrne, senior vice president di Moody's.

Vola lo yuan. La notizia ha fatto schizzare lo yuan a 6,6703 per dollaro, il picco degli ultimi 16 anni, ovvero da quando, nel 1994, Pechino ha scelto di abbandonare il sistema della parità fissa. All'inizio della settimana lo yuan girava attorno a 6,6912 per un dollaro. Da rilevare che dal 21 giugno scorso, per disposizione dell'Istituto di emissione, la divisa cinese può oscillare in entrambi i sensi ogni giorno al massimo dello 0,5% rispetto al fixing ufficiale. Questa variazione, sospesa nel 2008 a causa della crisi finanziaria, é stata reintrodotta per le pressioni di Washington. Da giugno, comunque, la rivalutazione della yuan é stata di appena il 2,12%, mentre il Congresso Usa la giudica sottovalutata per il 20-40%. La Cina ha sempre escluso una rivalutazione drastica della divisa perché, ha spiegato il Premier nel suo recente viaggio in Europa, questa si tradurrebbe in un'esplosione della disoccupazione e nell'instabilità sociale nel Paese. Nel frattempo sono cresciute le pressioni per un yuan più forte in vista del G7 che si apre a Washington oggi.

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Nel comunicato con cui Moody's anticipa la possibilità di migliorare il giudizio sulla Cina, l'agenzia spiega che le banche di proprietà statale della Cina hanno prestato 9.600 miliardi di yuan (1.400 miliardi dollari) l'anno scorso, circa il 30% del Pil, per completare un pacchetto di stimolo fiscale da 4.000 miliardi di yuan presentato nel novembre 2008 per aiutare la Cina a superare la crisi finanziaria globale.

I critici hanno espresso timori che molti di questi prestiti, in particolare quelli effettuati verso i governi locali, diventeranno difficili da esigere, caricando le banche di perdite pesanti ed eventualmente richiedere al governo centrale di organizzare un piano di salvataggio.
Ma Moody's ha detto che le maggiori banche cinesi non sono state materialmente danneggiate dalla crisi mondiale e saranno in grado di assorbire la maggior parte delle eventuali perdite su crediti stessi - sia da capitale o da guadagni futuri.

«Pertanto, le banche principali nel sistema non dovrebbero costituire un rischio considerevole per passività per il bilancio del governo» ha detto l'agenzia di rating.
D'altra parte il bilancio dello stato è robusto. Con un debito pubblico che dovrebbe restare al di sotto del 20% del Pil, Pechino sarà in grado di finanziare il suo deficit facilmente ed a basso costo, dice Moody's.

In più, la Cina ha una posizione eccezionalmente forte esterna che ha notevolmente abbassato la sua vulnerabilità verso la volatilità globale dei mercati finanziari, la minaccia di inversioni di flusso di capitali e gli spostamenti improvvisi di fiducia del mercato. Inoltre - continua Moodys' - il debito estero della Cina è trascurabile. «Con il capitale finanziario circolante netto internazionale pari a circa il 50% del Pil - sostenuto da quasi 2.500 miliardi dollari in partecipazioni ufficiali in valuta estera - solo una manciata di economie industriali avanzate ad altorating, come Norvegia, Svizzera, Giappone, Hong Kong e Singapore, hanno una posizione più forte di investimento internazionale della Cina», riporta Moodys.

Come tale, la Cina è stata in grado di resistere alle pressioni che hanno danneggiato i fondamenti di credito dei paesi più esposti, non solo durante il recente tracollo globale, ma anche durante la crisi finanziaria asiatica del 1997-1998.

Moody's ha individuato rischi esterni come la più grande minaccia per la Cina. Una nuova caduta economica negli Stati Uniti e in Europa potrebbe colpire le esportazioni cinesi, che rimangono un importante motore di crescita, mentre potrebbero aumentare frizioni commerciali con gli Stati Uniti per il valore dello yuan. «Un grave deterioramento nelle relazioni commerciali bilaterali tra Cina e Usa avrebbe anche effetti negativi sulla tenue ripresa economica mondiale, elevando il rischio di una recessione globale double-dip» conclude l'agenzia di rating.

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