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Finanza e Mercati In primo piano

La Cina contro gli Stati Uniti vara stretta sui capitali esteri. Verso il G 20 s'infiamma la guerra delle valute

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Questo articolo è stato pubblicato il 09 novembre 2010 alle ore 13:38.

Cina contro Stati Uniti. Stati Uniti e Germania alleati contro la Cina. Ma pronti a scontrarsi sui rispettivi fronti. È questo il risiko con cui si dovrebbe aprire, giovedì 11 novembre, il G 20 in programma a Seoul. Tra i primi punti all'ordine del giorno, quello di trovare un nuovo equilibrio al mercato delle valute. Ormai, una priorità, vista che la partita a scacchi è in stallo da mesi.

E se per il numero uno della Banca mondiale, Robert Zoellick, è giunto il momento di richiamare in ballo l'oro (fuori dal discorso cambi dal 1971 quando cessarano gli accordi di Bretton Woods del 1944), mentre il governatore della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet preferisce stemperare i toni («non esiste una guerra di valute») resta il fatto che i big dell'economia mondiale non si stanno risparmiando frecciate sulle rispettive monete. Provando a farle volare basso, per sostenere le esportazioni e la ripresa economica.

Stati Uniti contro Cina
Secondo un panel di 27 economisti interpellati da Bloomberg domani la Cina, alla vigilia del G 20, comunicherà un surplus commerciale ad ottobre pari a 25 miliardi di dollari dopo i 16,9 annunciati a settembre. Dati in netta controtendenza rispetto ai primi mesi dell'anno quando le importazioni avevano superato le esportazioni. Un nuovo surplus - che sarebbe il secondo maggiore dell'anno - rischia di accentuare le critiche degli Stati Uniti alla semi-rigidità o semi-flessibilità (dipende da che lato della medaglia lo si voglia vedere) del cambio yuan-dollaro (a giugno la Cina ha abbandonato il sistema fisso nei confronti del dollaro aprendo a una potenziale variazione giornaliera massima nell'ordine dello 0,5%). Secondo gli Stati Uniti, infatti, lo yuan sarebbe attualmente svalutato di circa il 20-30% rispetto al suo valore effettivo.

Cina contro Stati Uniti
Ma, a quanto pare, anche la Cina ha di che lamentarsi e critica duramente la recente manovra di allentamento quantitativo operata dalla Federal Reserve (ha comunicato l'acquisto di 600 miliardi di titoli di Stato entro il secondo trimestre 2011). Le autorità cinesi temono che questa nuova iniezione di liquidità della Fed (e quindi di denaro facile denominato in dollari) si trasformi in un enorme afflusso di investimenti speculativi verso i paesi emergenti, che potrebbe esercitare ulteriore pressione al rialzo su valute come lo yuan cinese.

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Secondo il vice governatore della banca centrale cinese Ba Delun la mossa della Fed «può aggiungere rischi agli squilibri globali e può creare una bolla speculativa. Serve più vigilanza». Ancora più dura l'agenzia cinese Xinhua, secondo cui la Fed «mette a rischio la ripresa globale seguendo solo la propria ripresa economica».

«Il G 20 - scrive Xinhua - deve creare un nuovo meccanismo che tenga sotto monitoraggio l'emittente della moneta di riserva internazionale, specie quando non è in grado di avere una responsabile politica valutaria». «È necessario - prosegue l'agenzia - che l'emittente della moneta di riserva internazionale riporti e comunichi col G20 prima di effettuare importanti scelte di politica monetaria».

Per questo motivo, in risposta alla mossa della Fed, la Cina ha varato oggi una stretta sugli afflussi di capitali esteri. Nel dettaglio l'autorità valutaria cinese (Safe) ha annunciato che introdurrà quote per l'utilizzo di debito estero a breve termine da parte degli istituti finanziari, oltre a rafforzare il controllo sul rimpatrio dei fondi di società cinesi quotate all'estero e investimenti offshore. Il giro di vite riguarda anche gli investimenti in capitale azionario in Cina da parte delle compagnie estere.

Germania contro Cina e Stati Uniti
Anche la Germania, l'economia che in questo momento corre di più in Europa, fa sentire il suo peso in questo scenario burrascoso sul fronto dei cambi. In un'intervista al Financial Times, la cancelliera tedesca Angela Merkel, sottolinea che la Cina deve essere persuasa a fissare un tasso di cambio più flessibile per lo yuan perché «La maggiore minaccia sull'economia è il protezionismo e non sono ancora state prese le misure necessarie per favorire gli scambi». I tassi, aggiunge Merkel, devono riflettere i fondamentali dell'economia.

Ma la cancelleria non accoglie neppure la proposta degli Stati Uniti di stabilire precisi target numerici per il livello dei surplus e dei deficit delle bilance dei pagamenti. Una proposta, quella degli Stati Uniti che, se letta al contrario, può significare anche un attacco all'economia tedesca, in ripresa proprio grazie al buon andamento delle esportazioni.

Al G 20 il compito di dare un nuovo assetto al sistema mondiale dei cambi. Difficilmente, però, qualcosa accadrà se i paesi coinvolti non saranno disposti a rinunciare a qualche pianta nel loro orticello.

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