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Questo articolo è stato pubblicato il 11 novembre 2010 alle ore 07:49.
SEUL - Un caldo invito ai capi di stato e di governo del G-20 perché accrescano il loro impegno ad accelerare i tempi di attuazione della riforma finanziaria disegnata dal Financial stability board e perché diano maggior coerenza sul piano legislativo agli interventi già programmati, per scongiurare l'emergere di nuove minacce per la stabilità finanziaria. È l'esortazione contenuta nella lettera inviata ai responsabili dei paesi di vecchia e nuova industrializzazione dal governatore della Banca d'Italia e presidente del Financial stability board, Mario Draghi, con la quale il banchiere centrale italiano dà conto dei risultati ottenuti in poco più di un anno di lavoro per definire un'intera strategia di riforma e, dopo aver ricevuto il mandato del G-20, chiede ora l'endorsement a quello che è stato un po'enfaticamente definito lo steering committee dell'economia globale.
In poco più di dodici mesi il board che riunisce ministeri, banche centrali e organismi di controllo dei mercati dei paesi G-20 ha messo a segno un obiettivo decisamente consistente: il gruppo di regolatori, nel quale, com'è stato notato, gli Stati Uniti dispongono soltanto di un voto su venti (una governance che permette all'Europa una voce più robusta rispetto a quella che ha in altri organismi internazionali) ha infatti dato corpo alla riforma di Basilea 2 attraverso la definizione di regole più rigorose su capitale e liquidità da introdurre tuttavia con grande gradualità per minimizzare gli effetti prociclici. Il G-20 di Seul dovrà ora apporre il suggello finale alla nuova regolamentazione che persegue il rafforzamento patrimoniale delle banche perché in futuro non si ripetano crisi finanziarie così virulente come quella che abbiamo vissuto nel 2007-2008.
L'accordo, molto rigoroso, prevede tuttavia che le regole vengano introdotte gradualmente a partire dal 2013 e che la transizione sia completata entro il 2019.
La nuova normativa di Basilea 3 è necessaria ma non sufficiente, ha più volte sottolineato Draghi, perché con esse non si affronta il problema dei rischi posti da quelle istituzioni creditizie e finanziarie (le Sistemically important financial istitutions, o Sifi) che o per la loro dimensione o per la loro presenza degli snodi più importanti del sistema finanziario internazionale, se si trovassero in procinto di fallire verrebbero con ogni probabilità salvate ad ogni costo.