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Ue pronta al salvataggio dell'Irlanda, Atene accusa Berlino di soffiare sul fuoco

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Questo articolo è stato pubblicato il 15 novembre 2010 alle ore 16:23.

L'Unione europea è pronta a intervenire per sostenere l'Irlanda, come ogni altro Paese della zona euro in difficoltà, se ciò dovesse rendersi necessario. Lo ha ribadito il portavoce del commissario Ue agli affari economici e monetari, Olli Rehn, ripetendo però come al momento nessuna richiesta di aiuto è stata avanzata dalle autorità di Dublino.

Man mano che passano i giorni nell'Eurozona si teme l'effetto contagio e toccherà ai ministri dell'Eurogruppo domani a Bruxelles prendere una decisione sul caso Irlanda. Mentre Dublino conferma di non aver intenzione di chiedere l'intervento del Fondo anti-crisi, il Portogallo invita indirettamente gli irlandesi a pensarci seriamente. Lisbona secondo dichiarazioni del ministro portoghese delle Finanze, Fernando Teixeira dos Santos, citate dal Financial Times, corre «un rischio elevato» di dover fare appello ad aiuti finanziari esterni, per risolvere le difficoltà economiche del paese.

«Noi siamo pronti», ha affermato il portavoce di Olli Rehn, ricordando come dal maggio scorso esiste una rete di sicurezza per affrontare le situazioni più difficili all'interno della zona euro. «Abbiamo a disposizione - ha sottolineato - strumenti adeguati per fornire assistenza e garantire la stabilità finanziaria dell'eurozona nel suo complesso se ciò viene richiesto e se ciò si rende effettivamente necessario. Ma al momento - ha aggiunto il portavoce - non c'è alcuna necessità immediata».

Bruxelles resta comunque «in regolare contatto» con le autorità irlandesi, pur non essendoci un vero e proprio negoziato, ha spiegato il portavoce, confermando come «l'Irlanda è impegnata in un forte sforzo di aggiustamento dei propri conti, attraverso un piano di consolidamento quadriennale che rappresenta un passo molto importante per stabilizzare la situazione finanziaria del Paese, e per riportare il deficit sotto il 3% entro il 2014, come da impegni presi».

Il portavoce di Rehn ha parlato anche di «contatti regolari» anche con le autorità portoghesi, come con tutti quei Paesi maggiormente in difficoltà. «Il Parlamento del Portogallo ha appena approvato il budget 2011 - ha detto - e le misure ci sembrano adeguate». Contatti anche con la Spagna, anche se «nessun parallelo con altre situazioni può essere fatto, perchè non comparabili». «Madrid sta affrontando la situazione in maniera molto efficace», ha detto il portavoce.

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Inatnto il premier greco rilancia le polemiche contro la Germania, accusando Berlino di aver innescato l'ultima ondata di tensioni sui titoli di Stato dei paesi di Eurolandia che, come il suo, accusano accentuati squilibri di bilancio.

«Alcuni, come il governo tedesco - ha affermato George Papandreou - hanno ipotizzato che le banche che finanziano i paesi con alti livelli di debito dovrebbero esser pronte a assumersi i costi di eventuali insolvenze sui pagamenti. Questo ha scatenato una spirale di rialzi sui rendimenti dei bond per paesi cone l'Irlanda o il Portogallo, che appaiono in situazioni difficili. Come dire a qualcuno: visto che sei in difficoltà ti metto un carico supplementare sulla schiena. - ha insistito -. Ma questo rischia di romperla la schiena». Non a caso dal G20 di Seoul i leader europei hanno lanciato un messaggio rassicurante sulla questione ristrutturazione dei debiti sovrani.

Si rischia una «profezia autorealizzante», ha avvertito il premier greco, che ha parlato durante una riunione a Parigi dell'internazionale socialista. In precedenza Berlino, appoggiata dalla Francia, aveva premuto su modifiche all'attuale meccanismo temporaneo anti crisi dell'Ue, volendolo rendere permanente dal 2013 ma con alcune significative modifiche.

Tra queste anche la possibilità di far pagare parte dei costi di un default sul debito di un paese a chi ne abbia acquistato i bond. Tuttavia la scorsa settimana, in occasione del G20 a Seul le cinque maggiori economie europee, tra cui la stessa Germania, avevano precisato che queste discussioni di riforma non riguardavano la situazione dei bond attualmente già in circolazione sui mercati, né pregiudicavano la possibilità di far ricorso al fondo anti crisi da parte dei paesi in difficoltà. Questo per cercare di attenuare le tensioni che proprio questo dibattito aveva creato sui bond di Irlanda, Portogallo e Grecia.

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