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Questo articolo è stato pubblicato il 19 novembre 2010 alle ore 16:20.
Fmi e Commissione europea sono pronti a venire in soccorso dell'Irlanda a patto che Dublino imponga una ristrutturazione del debito subordinato (quello che garantisce meno diritti in caso di insolvenza) alle banche in difficoltà. L'indiscrezione, anticipata dalla stampa irlandese, ha già fatto impennare gli indici che misurano la rischiosità delle obbligazioni.
L'indice Markit iTraxx Financial, che monitora i prezzi dei credit default swap (i derivati che assicurano in caso di insolvenza) sul debito subordinato di 25 tra banche e assicurazioni europee, si è impennato di 11 punti base a metà giornata, stando a quanto sostengono gli analisti di Jp Morgan. Ma è in generale il comparto bancario a soffrire in Borsa. L'indice settoriale Eurostoxx 600 cede oltre il 2% a metà giornata.
Se questa voce fosse confermata, si avvererebbe in qualche modo la volontà espressa da esponenti dei governi di Francia e Germania nei giorni scorsi. Dopo l'accordo raggiunto in sede Ue per la creazione di un fondo anticrisi permanente per sostenere Paesi della zona euro in difficoltà, prima Angela Merkel e altri esponenti del governo tedesco poi la francese Christine Lagarde, avevano chiesto che anche i privati si facessero carico delle eventuali perdite derivanti dal salvataggio di uno stato. In questo caso la ristrutturazione interesserebbe non i titoli di stato dei paesi a rischio, ma le obbligazioni delle banche in difficoltà.
D'altronde è da qui che è partita la crisi irlandese. Il deficit di Dublino è esploso perché il paese è dovuto intervenire a tamponare le difficoltà del settore in gravi difficoltà per i contraccolpi della finanziaria globale, accentuati dallo scoppio della bolla immobiliare. I costosissimi piani di salvataggio pubblico delle banche faranno lievitare il deficit 2010 dell'Irlanda oltre il 32 per cento del Pil. Un caso molto diverso da quello della Grecia dove il buco di bilancio fu generato soprattutto da una gestione scriteriata della spesa pubblica.
Non stupisce quindi che il governo irlandese continui a insistere su questo punto nel suo braccio di ferro con Unione europea e Fondo monetario internazionale. Un tentativo forse di evitare una contropartita politicamente meno accettabile: l'aumento della tassazione sulle aziende, storicamente molto competitiva. Grazie ad aliquote molto basse (12,5 per cento) il paese ha potuto attrarre in questi anni tante aziende straniere che qui hanno stabilito il quartier generale.