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Good job. Per Ron Bloom, capo della task-force auto di Obama, Marchionne ha salvato Chrysler

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Questo articolo è stato pubblicato il 12 gennaio 2011 alle ore 08:28.

DETROIT - «Se Chrysler vuole restituirci i prestiti prima della scadenza, saremo felicissimi. E siamo pronti a metterci attorno a un tavolo con Sergio Marchionne per discutere i termini dell'operazione e del collocamento in Borsa».

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Così Ron Bloom, capo della task force auto di Obama, commenta la prospettiva di un'Ipo di Chrysler già nel 2011, dopo quella portata a termine con successo da General Motors nel novembre scorso. Intervenendo al convegno di Automotive News a Detroit, quello che veniva soprannominato "lo zar dell'auto" ha rievocato i due anni trascorsi da quando i manager del settore andarono a Washington (in aereo) con il cappello in mano, chiedendo un intervento di emergenza all'allora amministrazione Bush. Detroit era allora «sull'orlo del collasso», e un tracollo delle Big three minacciava di travolgere l'intero settore manifatturiero americano.

Nella sua posizione di capo della task force presidenziale sul settore auto, oltre che di consulente del ministero del Tesoro, Bloom è stato forse il principale attore del salvataggio; ora che la crisi sembra alle spalle, ne rivendica i meriti. Gli 85 miliardi di dollari investiti (25 da Bush, 60 da Obama), dice, sono stati ben spesi; e snocciola le cifre della ripresa: «Le case automobilistiche di Detroit sono tutte e tre in utile operativo per la prima volta in sei anni»; «il settore ha creato quasi 75mila posti di lavoro da quando Gm e Chrysler sono uscite dal Chapter 11, dopo averne distrutti 155mila nei soli sei mesi successivi all'arrivo di Obama alla Casa Bianca e 400mila in totale». Dal punto di vista finanziario, Gm ha già restituito in toto i prestiti ai governi di Usa e Canada e due mesi fa è tornata in Borsa con successo.

Bloom è prodigo di elogi al management della Chrysler guidato da Sergio Marchionne: delle tre aziende di Detroit, ricorda, «Chrysler è quella che ha avuto la strada più difficile»; ma anch'essa «ha segnato tre trimestri consecutivi di utile operativo ed è riuscita ad aumentare la sua quota di mercato». Il fatto che Chrysler abbia avviato la produzione del motore ecologico in Michigan, permettendo a Fiat di portare la sua quota al 25%, «è positivo per l'azienda e per l'industria Usa». Che probabilità ha Chrysler di essere ancora qui fra due anni? «I segnali sono positivi. Quando nel novembre 2009 hanno presentato un piano con obiettivi ambiziosi, quasi nessuno ci credeva; e due mesi fa li hanno rivisti al rialzo. Hanno superato di gran lunga le attese e fanno progressi costanti. Certo, non sono ancora fuori dal guado e a lungo termine e difficile fare previsioni. Ma del resto, questo vale anche per Gm e Ford e per le concorrenti».

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«Senza Marchionne, la Chrysler crollerebbe?» chiede uno spettatore. Bloom prima se la cava con una battuta: «L'importante è che ci lasci il maglioncino». Poi, più seriamente, dice che «i leader svolgono un ruolo importante. Quello di Sergio è fondamentale per Chrysler come quello di Alan Mulally per Ford. Sarà compito del board di Chrysler
preparare il piano di successione. Lui sta facendo un ottimo lavoro, ma a questo mondo nessuno è insostituibile».

La ritrovata normalità per Chrysler potrebbe essere sancita dal ritorno in Borsa, come già è avvenuto per General Motors; un'operazione, quella di Chrysler, che potrebbe avvenire già quest'anno. Che ruolo avrete voi dell'Amministrazione? «La nostra quota - risponde Bloom - è molto inferiore a quella in General Motors (9% circa contro un iniziale 61%, ndr) e il nostro investimento principale sono i prestiti che abbiamo concesso all'azienda. Se Chrysler sarà in condizioni di ripagare questi debiti già quest'anno o il prossimo, saremo felicissimi di ricevere i soldi. Se il board della società ritiene che essa sia pronta per tornare in Borsa quest'anno o il prossimo, li sosterremo in questo loro progetto». Un'Ipo entro fine 2011 è una priorità per il Governo americano? «Non lo è per noi; se lo è per l'azienda, saremo felici di parlarne». Avete già avviato negoziati con l'azienda per le eventuali modifiche all'Operating agreement di Chrysler? «Se ci sono altri cambiamenti necessari a far funzionare la cosa, ci siederemo al tavolo e ne parleremo al momento opportuno».

Dal piano finanziario a quello della politica industriale: cambierà qualcosa se e quando la Chrysler verrà gestita da italiani? Bloom la prende alla larga: «Il business dell'auto è ormai globale. Quando Fiat ci ha fatto la sua proposta per Chrysler, ha offerto di investire parecchio in termini di tecnologia e di risorse manageriali in cambio del 20% di Chrysler e della possibilità di acquistare altre quote. L'unica alternativa, allora, era la liquidazione. Crediamo quindi di aver preso la decisione giusta. Fiat potrà prendere il controllo della Chrysler solo dopo aver restituito tutti i prestiti. Se si arriverà a quel punto, sarà una giornata positiva: vorrà dire che l'azienda funziona, i posti di lavoro sono stati salvati e i debiti ripagati. L'importante è che ci sia gente disposta a produrre auto sul suolo americano. Ho un legame sentimentale con le aziende di Detroit, ma un legame ancora più forte con i lavoratori di Detroit. Se Fiat vuol dare lavoro agli americani è una cosa magnifica, se Toyota vuol farlo lo è altrettanto».

A questo punto è inevitabile una domanda su Bob King, il numero uno del sindacato Uaw: cosa ne pensa Bloom degli sforzi di King per estendere la presenza dei sindacati nel settore auto? «Ha tutti i diritti di farlo, e gli auguro buona fortuna. Ma noi non prendiamo nesusna posizione». E la clausola di arbitrato nel contratto tra Uaw e Chrysler? «stabilità del lavoro è ovviamente parte di un pacchetto complessivo. Quando Fiat ha valutato la possibilità di effettuare un investimento consistente in Chrysler, ha cercato la massima stabilità del lavoro; e la Uaw ha ritenuto conveniente accettare quella condizione: è stata parte di un accordo».

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