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Finanza e Mercati In primo piano

C'erano una volta i paesi emergenti. L'autore dell'acronimo Bric aggiorna la formula e l'elenco

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 gennaio 2011 alle ore 13:38.

«È patetico chiamare Brasile, Russia e India e Cina dei paesi emergenti». Se a dirlo è Jim O'Neill, l'uomo che nove anni fa ha coniato l'acronimo Bric è meglio fermarsi un momento, e capire il perché.

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Secondo O'Neill, oggi alla guida di Goldman Sachs asset management, la crescita negli ultimi anni di queste economie è stata tale che il tag "paesi emergenti" ormai sta stretto. Tale definizione è stata sdoganata per la prima volta nel mondo della finanza 30 anni fa da Antoine van Agtmael, ex economista della Banca mondiale e oggi presidente della casa di investimenti Emerging markets management, per rimpiazzare il concetto di "terzo mondo". E per indicare quelle aree poco sviluppate ma con un buon potenziale di crescita.

«Ci sono economie che oggi figurano ancora tra i mercati emergenti ma che contribuiscono per oltre l'1% al Pil mondiale e hanno il potenziale per crescere ancora. Per questo meritano una considerazione particolare», spiega O'Neill al Financial Times. E quindi, leggendo l'affermazione al contrario, meritano di scollarsi di dosso la definizione riduttiva di paesi emergenti.

Sostenere che Brasile, Russia, India e Cina abbiano ancora queste caratteristiche è quantomeno forzato. Basta guardare al contributo al Pil globale che oggi offrono. La Cina è la seconda economia mondiale con un prodotto interno lordo pari al 9,3% del Pil mondiale (gli Stati Uniti, che sono al primo posto, hanno una quota del 23,6%). Mentre Brasile, Russia e India (messe insieme) contribuiscono alla ricchezza del pianeta per l'8 per cento. Insomma, più che paesi emergenti si tratta ormai di paesi "emersi" dal terzo mondo.

I nuovi Bric
Che fine farà l'acronimo Bric? Nessun pericolo, resterà ancora una parola di richiamo. Del resto sarebbe difficile cancellarla dalle logiche (e dalle abitudini) finanziarie, visto che rientra ormai nell'immaginario collettivo e nelle strategie di gestione di molti fondi di investimento.
Ma è il caso di aggiornarla con un nuovo approccio (che O'Neill spiegherà nel dettaglio entro fine mese). Tra i nuovi criteri per partecipare all' area rivisitata ci dovrebbero essere, oltre a popolazione e capitalizzazione di mercato, anche prodotto interno lordo, crescita del reddito di impresa e volatilità dei rendimenti delle attività. Aggiugendo questi parametri alla magica formula, i Bric si allargherebbero di diritto a otto paesi con l'innesto ufficiale anche di Turchia, Messico, Indonesia e Corea del Sud.

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Quanto alla ricchezza generata, infatti, questi paesi sono al di là dell'1% mondiale. Messico e Corea del Sud contribuiscono al Pil globale ciascuno con una quota dell'1,6 per cento. La Turchia con l'1,2% e l'Indonesia con l'1 per cento.

Sud Africa
E il Sud Africa? Contribuisce al Pil globale per lo 0,6% e con 45 milioni di abitanti non ha una popolazione sufficiente per essere considerato nell'area Bric, spiega O'Neill. Merita invece di entrare - insieme ad altri due paesi africani, Egitto e Nigeria - nell'elenco degli "N-11" (Next 11, Prossimi 11), etichetta che insieme ai suoi colleghi l'economista ha coniato per inserire le nuove economie con le più alte prospettive di crescita. Insomma, quei nuovi paesi emergenti. Che forse, un giorno, siederanno al tavolo dei Bric.

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