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S&P taglia il rating al Giappone: il debito rischia di essere insostenibile

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Questo articolo è stato pubblicato il 27 gennaio 2011 alle ore 17:08.

L'agenzia di rating Standard & Poor's ha tagliato il suo giudizio sul debito a lungo termine del Giappone portandolo da «AA» ad «AA-», tre livelli sotto il giudizio di massima stabilità: la cosiddetta tripla A. «Il tasso di indebitamento del governo - ha avvertito S&P - continuerà a salire più del previsto e il deficit di bilancio resterà alto nei prossimi anni, riducendo la flessiblità di manovra del governo».

L'impatto della notizia sul mercato dei titoli di stato
La notizia si fa sentire sul mercato dei titoli di stato dell'Eurozona, reduce da una settimana di relativa stabilità dopo il successo dell'asta bond del fondo salva stati. Sono soprattutto dei credit default swap (i derivati che assicurano sul rischio fallimento di uno stato) a registrare i movimenti maggiori. È salito di 5 punti base il cds sulla Spagna a quota 276, di 8 punti quello sul Portogallo (458), di 12 quello sulla Grecia (875) e di 8 punti quello dell'Irlanda (630 punti base).

Quanto pesa il debito pubblico giapponese
La recessione dei primi anni '90 è la principale ragione dell'enorme debito pubblico del paese. Per rilanciare un'economia colpita dallo scoppio della bolla immobiliare il governo ha messo in campo corposi piani di stimolo all'economia. A questo deve aggiungersi una spesa pensionistica lievitata per effetto dell'invecchiamento della popolazione (circostanza comune a tutti i grandi paesi industrializzati). Se si esclude il caso limite dello Zimbabwe, il rapporto debito Pil del Giappone èil più alto al mondo ed è pari al 181% del Prodotto interno lordo. A marzo di quest'anno il debito toccherà quota 869mila miliardi di yen (oltre 10 mila miliardi di dollari). E questo senza considerare i titoli a breve che farebbero lievitare il rapporto debito/Pil al 204%. Solo quest'anno il tesoro giapponese, secondo i dati della banca dati Capital Iq di Standard & Poor's, dovrà rimborsare 2147 miliardi di dollari di debiti.

Dal 1990 entrate fiscali e spesa pubblica prendono strade opposte
A differenza dell'Italia dove, a fronte di un debito pubblico consistente, il deficit si mantiene fuori dai livelli di guardia, la situazione dei conti pubblici del Giappone, secondo Luca Mezzomo responsabile ricerca macroeconomica di Intesa San Paolo, «è estremamente inquietante». E questo perché dal 1990, entrate fiscali e spesa corrente hanno preso due strade opposte. In calo le prime in aumento le seconde.

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Il 48% della spesa corrente coperto dal debito
Il risultato, come emerge dai documenti del ministero delle finanze, è che il bond dependency ratio (la percentuale delle entrate coperta da emissioni obbligazionarie) è arrivata quest'anno a quota 48% (nel 2009 era al 37,6%). Questo significa che metà della spesa corrente dipende dai titoli di stato. Per invertire la rotta, il Fondo Monetario internazionale ha auspicato una correzione draconiana (12%) del deficit (che nel 2010 ha toccato il 9,4% secondo le ultime stime dello stesso Fmi) per stabilizzare il debito giapponese. «Su questo fronte - commenta Mezzomo - il paese ha un ampio margine di manovra avendo una pressione fiscale molto bassa». Non a caso in queste settimane di parla di un aumento della tassa sui consumi. Si è calcolato che un aumento di un punto percentuale della pressione fiscale potrebbe fare entrare nelle casse statali circa 2500 miliardi di yen.

Il gioco delle tre carte che schiaccia i tassi
La cosa che differenzia il Giappone da altri stati dall'alto debito pubblico è il livello moderato dei tassi di interesse. Il decennale ha un rendimento dell'1,25%, decisamente inferiore al 3,42% dell'analogo T bond americano, per non parlare dell'astronomico 11,52% del titolo greco. «La ragione di tutto ciò - spiega Luca Mezzomo - sta in una sorta di gioco delle tre carte tra Tesoro e istituti di credito e banca centrale. Quest'ultima tiene basso il costo del denaro e in cambio le banche acquistano i titoli di stato contribuendo a tenere bassi tassi di interesse. Questo spiega perché il 95% del debito sia in mano a investitori giapponesi. È un meccanismo alla lunga insostenibile». Questo spiega il taglio del rating.

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