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Questo articolo è stato pubblicato il 31 gennaio 2011 alle ore 12:34.
Il petrolio? L'escalation in Egitto, peraltro non così probabile, potrebbe influenzare la domanda finanziaria e spingere i corsi dell'oro nero fino a 120 dollari. Le valute, invece? Si sono apprezzate quelle che, classicamente, costituiscono un bene rifugio. Su tutte il franco svizzero che, nel peggiorare della situazione , potrebbe arrivare a 1,24 sul l'euro. I mercati azionari, infine? Bé, per Credit Suisse gli emerging da "Overweight" sono declassati a Equalweight. Questi, in sintesi, alcuni dei pareri degli esperti sulla crisi del Cairo e degli effetti su importanti asset class raggiunti dal sole24ore.com.
Opec pronta ad aumentare la produzione di petrolio se la crisi egiziana causasse lo stop alle forniture
Gli scenari per l'oro nero
«L'impatto degli scontri in Egitto, per adesso, è solo sul fronte delle aspettative e della parte finanziaria della domanda di petrolio. I fondamentali reali, al contrario, non danno preoccupazione». Alberto Clò, docente di economia industriale all'università di Bologna, consigliere dell'Eni, nonché tra i massimi esperti di energia in Italia, non esprime eccessiva preoccupazione per l'acuirsi della situazione al Cairo.
«Innazitutto - tiene a precisare Clò - bisogna distinguere tra gli effetti finanziari e quelli reali. Questi ultimi, attualmente, sono tranquilizzanti: la spare capacity, cioè la capacità di produzione inutilizzata, è attorno ai 5-6 milioni di barili al giorno. Si tratta di un livello, per un'industria dell'oil ormai ampiamente flessibile, che offre margini di garanzia».
Di più: l'eventuale shock di un'interruzione dei flussi di barili, o di gas, dall'Egitto non è tale da impattare con forza sulla bolletta energetica. «Il Cairo - spiega il fondatore di "Energia" - produce 700mila barili al giorno e 60 miliardi di metri cubi di gas, di cui solo 14 destinati all'export. Si tratta di numeri piuttosto piccoli. Che non possono creare forti tensioni sui mercati internazionali». L'unica vero problema, secondo Clò, sarebbe la chiusura del Canale di Suez: «Di lì, transitano ogni giorno 4-5 milioni di barili al giorno, cioè il 5% della produzione mondiale e il 7% del commercio internazionale. Tuttavia, non credo proprio che arriveremo ad una simile ipotesi».