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Finanza e Mercati In primo piano

Ecco perché corrono i listini alimentari e la spesa costa di più

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Questo articolo è stato pubblicato il 04 febbraio 2011 alle ore 09:47.

Per ultimo è arrivato Yasi, un ciclone di forza devastante, che abbattendosi sulle piantagioni del Queensland, in Australia, ha stimolato una nuova ondata di acquisti sui futures delle materie prime agricole: mercoledì le quotazioni di tutti i cereali erano ai massimi da oltre due anni, lo zucchero era al record storico. Persino il caffè arabica, che con l'Australia non ha niente a che fare, è salito a livelli che non toccava da oltre tredici anni. Ieri il dollaro debole ha innescato una correzione (particolarmente forte nel caso dello zucchero grezzo, che è crollato di circa il 10%). Ma il riso al Chicago Board of Trade è tuttora ai massimi da ottobre 2008.

Alla cassa ora si paga di più (di Emanuele Scarci)

I rincari sembrano non aver fine. Il Food Price Index della Fao, che rispecchia l'andamento di prezzo di 55 prodotti alimentari, è in crescita da sette mesi consecutivi. Ieri l'organizzazione delle Nazioni Unite ha confermato che anche in gennaio, come era facile attendersi, l'indice ha aggiornato il record: 231 punti, il 3,4% in più rispetto a dicembre (quand'era già ai massimi dalla sua creazione, nel 1990) e ben più in alto di quanto non fosse salito a giugno del 2008: periodo di rivolte per il pane, caratterizzato da violenze simili a quelle cui stiamo assistendo oggi, anche se diversi esperti ritengono che i rincari alimentari siano stati al massimo una concausa delle proteste che percorrono il Nord Africa e il Medio Oriente.

Dal punto di vista climatico è stata un'annata disastrosa per le coltivazioni agricole. Prima del ciclone Yasi in Australia c'erano state le alluvioni, fenomeno che ha riguardato anche ampie regioni dell'Asia. E prima ancora, in ordine sparso, la siccità e i roghi nei campi di grano della Russia, l'inverno arido del Sud America e troppo freddo negli Stati Uniti, i monsoni torrenziali in India e nel Sudest asiatico. Infinite catastrofi, generate da un fenomeno meteorologico noto come La Niña, ai quali i mercati hanno reagito con rally poderosi, accompagnati da un'altissima volatilità, che la stessa Fao purtroppo non vede vicina a placarsi.

«Abbiamo creato un ambiente che permette la pura speculazione», protesta il direttore generale dell'organizzazione, Jacques Diouf, invocando un ritorno alle regole che governavano i mercati fino al 1999, quando i futures erano strumenti di copertura dal rischio, utilizzati prevalentemente da produttori e consumatori, piuttosto che da soggetti finanziari. «Oggi invece sui mercati dei future si comprano contratti solo per rivenderli a prezzi più alti, senza nemmeno vedere le commodities. Questo non è giusto».

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Diouf lamenta anche l'eccesso di aiuti che le economie avanzate riservano al settore agricolo («un supporto che nei paesi Ocse equivale in media a 365 miliardi di dollari l'anno») e il proliferare – in questo caso soprattutti nei paesi emergenti – di sussidi e misure protezionistiche. Tutte misure che distorcono il mercato, aggravando ulteriormente la situazione degli contadini più poveri, che avrebbero piuttosto bisogno di maggiori investimenti nell'agricoltura: per la Fao nei prossimi quarant'anni il mondo ha bisogno di investire ben 83 miliardi l'anno ed accrescere la produzione agricola del 70%, se vuole garantire cibo a sufficienza ad una popolazione che nel 2050 supererà i 9 miliardi di individui.

Anche per difendere una ripresa economica ancora fragile è indispensabile «mettere al primo posto il cibo», raccomanda il presidente della Banca mondiale, Robert Zoellick, facendo appello in particolare ai governi del G-20. «Il 2008 avrebbe dovuto essere un campanello d'allarme, ma non sono sicuro che sia stato recepito da tutti i paesi di cui chiediamo il supporto».

L'iperinflazione alimentare complica le politiche monetarie, provocando – come sta già accadendo in Asia – rialzi dei tassi di interesse che potrebbero rivelarsi nocivi alla ripresa. Il problema è più di un rompicapo per banchieri centrali. «La gente che non ha cibo a sufficienza – avverte Josette Sheeran, executive director del World Food Programme – ha solo tre opzioni a disposizione: la rivolta, l'emigrazione o la morte». È s sotto gli occhi di chiunque come le tre opzioni stiano diventando tutte e tre sempre più praticate. sSheeran attira l'attenzione in particolare sulla Somalia, dove la siccità sta uccidendo il bestiame e costringe un numero crescente di persone ad allontanarsi per evitare la stessa fine. Al Wfp occorrono urgentemente 39 miliardi di dollari per far fronte all'emergenza, altrimenti gli aiuti alimentari al paese africano termineranno entro fine marzo. s«La situazione può diventare piuttosto destabilizzante per la regione, se non viene gestita in modo appropriato».

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