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La Borsa va in tilt mentre il mondo brucia, ma lo stop del trading può fare più danni delle dietrologie

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Questo articolo è stato pubblicato il 23 febbraio 2011 alle ore 07:36.

Che cosa ha bloccato le contrattazioni a Piazza Affari per un'intera giornata? Un attacco informatico, come ormai da mesi si teme a Wall Street? O un'azione «preventiva» di Borsa Italiana per proteggere da una possibile ondata di vendite i titoli delle aziende pubbliche e delle banche più esposte al rischio-Libia? O che non si tratti forse di una vendetta per quell'ingiurioso dito medio piazzato proprio davanti alle porte di Piazza Affari?

Con i venti di guerra che soffiano sui mercati, ogni ipotesi sembra buona fuorché quella vera: a fermare tutte le contrattazioni di Piazza Affari dalle 9 alle 14,38 di ieri - praticamente l'intera giornata borsistica - è stato il malfunzionamento del software che trasmette a tutti gli operatori italiani le informazioni sugli scambi che avvengono sul mercato azionario. Il software, chiamato Ddm Plus, funzionava perfettamente sulla piattaforma dei derivati, ma restava completamente muto sulla piattaforma azionaria: in altre parole, nessun operatore italiano era in grado di visualizzare i prezzi e le contrattazioni effettuate su un titolo, ma poteva comunque effettuare le operazioni di hedging in derivati su qualunque titolo quotato. Di qui, dopo vari interventi di riparazione andati a vuoto, la decisione di interrompere del tutto le operazioni: i server sono stati spenti, il software ricaricato, le contrattazioni ripristinate. Oggi, salvo imprevedibili sorprese, Piazza Affari aprirà regolarmente.

Dunque, tanto rumore per nulla, come dice Borsa Italiana? Probabilmente sì: la tradizionale dietrologia italiana, sommata al tam tam dei catastrofisti sull'impatto finanziario della crisi libica sulla nostra Borsa, sembrano aver avuto un ruolo determinante nelle tante reazioni emotive che hanno accompagnato lo stop alle contrattazioni. Di certo, lo stop del trading non conviene alla Borsa. Non solo perché perde le commissioni di trading, ma soprattutto perché lo stop delle contrattazioni a scopo precauzionale (evitare un panic selling) è storicamente controproducente per il listino e per le azionde quotate: quando si riaprono gli scambi, le vendite diventano ancora più pesanti.

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Detto questo, lo stop del sistema informativo di Piazza Affari qualche riflessione, anche critica, lo merita. A cominciare dall'asimmetria (non solo informativa) che si è venuta a creare tra investitori italiani e investitori esteri. Mentre gli investitori italiani che utilizzano il software di Piazza Affari Ddm Plus non potevano né vendere né comprare per l'assenza di informazioni, quelli inglesi - che usano alla Borsa di Londra un software completamente diverso (Infoelect) avevano tutte le informazioni sulla Borsa italiana ed erano tranquillamente in grado di operare sui titoli italiani. Se il sistema è stato spento a Milano, ci è stato spiegato, è stato proprio per evitare di tagliare fuori dagli scambi solo i nostri operatori.

E qui si scopre qualcosa che era del tutto ignoto: malgrado la fusione tra le due Borse, un'operazione celebrata nel nome della globalizzazione e della nascita di un grande network di cui avrebbero beneficiato imprese e operatori, i software con cui i due mercati gestiscono i flussi informativi non solo non dialogano affatto, ma sono completamente diversi nelle caratteristiche e nel linguaggio. Dopo la fusione, infatti, Borsa Italiana ha deciso di andare avanti con il proprio software e Londra non si è opposta: il risultato è che se il nostro software si rompe, come è successo ieri, solo gli inglesi possono effettuare contrattazioni.

Una domanda sorge spontanea: si tratta del famoso rispetto dell'autonomia, o è stata solo un'attenzione ai costi del tutto fuori luogo? E a rendere ancora più fastidiosa la questione e spinosa la domanda è anche un precedente: un anno fa, esattamente venerdì 7 maggio 2010, lo stesso software Ddm Plus si bloccò improvvisamente, provocando lo stop delle contrattazioni dalle 15,28 fino alle 16,40. Si trattò di poche ore, ma anche allora (come ieri), la Consob pretese informazioni alla Borsa sulle ragioni del tilt. E Borsa, come allora, spiegò l'inconveniente citando «problemi tecnici legati all'informativa sugli scambi». Repetita iuvant, ma anche perseverare è diabolico...

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