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Dossier | N. 177 articoliElezioni 2018-Ultime notizie, interviste e video

Il voto in Italia: perché gli indicatori della paura sono ai minimi

(Marka)
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Sui mercati finanziari, a meno di 48 ore dal voto in Italia per il rinnovo dopo cinque anni del Parlamento, regna una calma apparente. L'esito della consultazione popolare non è per nulla scontato ma gli indicatori che dovrebbero segnalare incertezza e volatilità sono fermi, quasi come se la tornata elettorale a cui sono chiamati più di 40 milioni di italiani non avesse importanza dal lato degli investitori. Non deve confondere in questo senso il ribasso odierno del Ftse Mib di Piazza Affari (-2%) che in compagnia degli altri indici europei e globali sta soffrendo l'annuncio shock di ieri sera di Donald Trump di imporre dazi nel comparto dell'acciaio.

Prendiamo lo spread, il termometro finanziario ormai entrato nelle case di tutti, di cui narrano ogni giorno tv e giornali. Prima sconosciuto ai più, dal 2011 questo vocabolo è entrato persino nelle discussioni al bar perché viene considerato un misuratore dell'incertezza sull'Italia. Oggi viaggia sotto i 130 punti base, il rendimento dei BTp a 10 anni è sotto l'1,95% e quello dei rispettivi Bund poco sotto lo 0,65%. Qualche seduta fa questo parametro aveva toccato 150 punti. Per non dimenticare i 575 del luglio 2012 quando sembrava che l'Italia non potesse ancora contare sul sostegno ufficiale della Banca centrale europea.

Non c'è solo lo spread con la Germania, ma anche quello con la Spagna. Oggi è calato a 43 punti. Roma sta rosicchiando qualche punto a Madrid paradossalmente prima del voto.

Se lo spread indica calma piatta anche i Cds (Credit default swap) a 5 anni sul debito italiano tracciano un quadro analogo. Di cosa si tratta? Contratti attraverso i quali gli investitori si assicurano in caso di default del titolo sottostante. In questo caso il titolo sottostante è il debito pubblico italiano. Quindi più costano i Cds più vuol dire che i mercati non si fidano della tenuta dell'Italia e chiedono un costo maggiore a chi vuole assicurarsi. Oggi i Cds sono in area 100 punti, i minimi da inizio anno. Nessuna fibrillazione. Anche qui, come se domenica non ci fosse alcun appuntamento alle urne.

E poi, se vogliamo estendere il raggio dei misuratori della paura, possiamo includere anche il cambio euro/dollaro (per quanto alle spalle di questo parametro le dinamiche impattanti sono numerose e complesse). In ogni caso se i mercati temessero scenari anti-sistemici l'euro dovrebbe subire una pressione al ribasso. Invece questa mattina scambia a 1,21 dollari, il 15% in più rispetto ai valori di 12 mesi fa.

Anche la versione europea del Vix, l'indice che misura la volatilità sull'Eurostoxx 50, non indica una tempesta all'orizzonte. Oggi scambia a 15, valori ritenuti assolutamente sobri e compatibili con uno scenario di prosperità finanziaria.

A questo punto c'è da chiedersi come mai a questo giro sui mercati regna la calma apparente e non assistiamo ad alcuna “pressione” degli investitori? In passato infatti gli investitori, temendo scenari non graditi, non hanno lesinato mini-attacchi prima di consultazioni elettorali o grandi market mover (come l'attesa per l'annuncio del Qe da parte della Bce). In questi attacchi viene dato un assaggio di quello che potrebbe succedere se l'evento X dovesse terminare con lo scenario B, a differenza del desiderato A.

In questo caso, invece, gli indicatori di tensione sono calmi. Quindi è come se la sommatoria delle aspettative degli investitori finanziari che corrisponde al concetto di “mercati” si aspettasse quasi con certezza lo scenario A.

«Il mercato sta scontando uno scenario di un parlamento appeso (hung parliament) e crede che alla fine si opterà per un governo di larghe intese. Un po' come accaduto nell'ultima legislatura, a parti invertite, nel senso che il Centrodestra farà da capofila – spiega Vincenzo Longo, strategist di Ig -. Al momento i rischi di governi anti-establishment sono residui, in termini di probabilità di un governo di questo tipo, e nel caso ci fosse questi partiti hanno apertamente dichiarato di non essere neanche tanto più euroscettici».

A parere di Marco Piersimoni, Senior Investment Manager di Pictet Asset Management Italia, i mercati «non temono la grande coalizione all'italiana. L'ipotesi più probabile (60%) è la vittoria nelle elezioni del centro-destra ma senza una maggioranza in parlamento in grado di esprimere un governo. Questa impone delle alleanze politiche trasversali di compromesso».

In questa calma apparente delle quotazioni prima del voto si nasconde anche un filo di presunzione, già evidenziata in altri Paesi: quella secondo cui i governi nazionali dell'Eurozona oggi contino sempre meno. Le regole dei trattati sovranazionali sottoscritte attualmente depotenziano le iniziative “fuori dagli schemi” a livello nazionale. Così che oggi ci vuole molto di più che in passato per far spaventare gli investitori. La prova è arrivata in Belgio, Spagna, Olanda e ora Germania. Negli ultimi cinque anni questi Paesi hanno sperimentato (in Germania tutt'ora) svariati mesi se non anni senza un governo. Ma i rispettivi bond e Borse non hanno lesinato, proprio durante la parentesi di assenza governativa, consistenti rialzi.

La storia però insegna che non sono recentemente mancati casi in cui la “scommessa” anticipata dei mercati sulle elezioni abbia fatto flop. Vedasi referendum sulla Brexit (giugno 2016) e presidenziali Usa (novembre 2016).

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