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Dossier Dark Kitchen, ecco perché saranno un boom

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Dossier | N. 21 articoli Food delivery

Dark Kitchen, ecco perché saranno un boom

L'esplosione del fenomeno delle cucine “chiuse” e pensate solo per la produzione di piatti per la consegna a domicilio modificherà gli equilibri del settore food e ridefinirà il ruolo degli operatori di questo settore? Il tema, di stretta attualità anche in Italia, è stato dibattuto nel corso di Mapic Food, evento internazionale dedicato alle catene e agli attori della ristorazione commerciale svoltosi a Milano nei giorni scorsi. C'è una ragione ben precisa che spiega perché le cosiddette “dark kitchen” sono accreditate dagli addetti ai lavori di potenzialità di crescita esplosive e tale ragione è l'incremento esponenziale delle consegne di piatti pronti a domicilio, una tendenza a cui ha soprattutto contribuito il popolo dei millennial. Una tipologia di clientela che non esita a ordinare cibo pronto anche due o tre volte a settimana e che si aspetta un servizio veloce, ampia scelta e un buon rapporto qualità-prezzo.

Cresce l’appetito per il cibo a domicilio
Crescendo in modo sostanziale la domanda a domicilio, ecco che anche ristoranti affermati e ben organizzati hanno spesso faticato a far fronte agli ordini da consegnare ai rider delle varie Deliveroo, JustEat, Glovo e Uber Eats. Da qui la spinta verso un nuovo modello di cucina, votata da una parte a preservare la qualità dell'esperienza di consumo all'interno del locale e dall'altra a non compromettere lo sviluppo di new business, cavalcando l'opportunità di riconfigurare i propri spazi o di affidare a soggetti terzi (le “dark kitchen per l'appunto) la gestione delle consegne a domicilio. All'orizzonte si profila un mercato dalle enormi opportunità: oggi il giro d'affari del food delivery su scala globale vale 35 miliardi di dollari e la proiezione al 2030 (fonte Ubs) parla di 365 miliardi di dollari, con una crescita composita anno su anno del 20%.

L'impatto del modello Amazon e i vantaggi delle cucine “centralizzate”
Quali sono i cardini (finanziari, operativi e tecnologici) alla base del nuovo modello di ristorazione legato alle dark kitchen e quali le conseguenze per gli operatori? Gli aggregatori del food delivery (come Delivery, Uber Eat, Just Eat o altre catene meno note al pubblico italiano come Stuart) – questa l'analisi effettuata da Peter Backman, noto consulente del settore – “hanno costruito negli ultimi due anni un marchio forte e allo stesso livello di ristoranti affermati. I clienti vogliono il cibo a domicilio perché sono stati educati dal modello di Amazon che consegna a casa in pochissimo tempo i prodotti ordinati online”.

Stephane Ficaja, Direttore Generale Northern and Southern Europe di UberEats, ha provato invece a sbilanciarsi nel quantificare la portata del fenomeno stimando in 5mila il numero delle “dark kitchen” attive in Europa entro i prossimi cinque anni, al servizio di 200mila brand di ristorazione. Una stima indicativa, sicuramente, ma che rappresenta una conferma netta di un cambiamento in atto. “Il food delivery online sta crescendo più velocemente del resto del mercato - ha aggiunto in proposito il manager – e le dark kitchen permettono di ridurre gli investimenti diretti, garantiscono l'eccellenza a livello operativo e una maggiore agilità nella gestione del prodotto. Il miglioramento della loro efficienza le renderà parte attiva del futuro dell'industria della ristorazione”. Si parla di fenomeno “disruptive” e non lo si fa a caso. L'Europa, come ha ricordato Ficaja, è un mercato da 750 milioni di abitanti, di cui un quarto millennials, e con un'elevata penetrazione di Internet, telefonia mobile ed e-commerce. E il ruolo di operatori come UberEats va letto oltre la funzione di pura delivery. “Una delle principali aree su cui ci stiamo concentrando – ha concluso infatti - è quella di trovare soluzioni per aiutare ristoranti di ogni dimensione a trasformare i dati in nuovi modelli di business, identificando per esempio aree in cui la domanda per una particolare cucina è molto elevata ma non soddisfatta da un'offerta limitata, aprendo quindi alla possibilità di lanciare un nuovo ristorante virtuale per colmare questo gap”.

Marketplace tuttofare
“Le cucine dedicate esclusivamente alle consegne a domicilio possono aiutare significativamente i ristoranti a far crescere il proprio business fornendo una piattaforma di espansione a bassissimo rischio, che azzera i costi di affitto dei locali e delle attrezzature e altre spese operative come le utenze, i costi d'esercizio, le pulizie”. Sui vantaggi offerti dal modello dark kitchen, anche Ajay Lkahwani, Vp progetti speciali di Deliveroo, ha le idee chiare. Confermando le intenzioni della compagnia inglese per diventare una vera e propria food company, il manager ha così sintetizzato lo scenario a tendere: i ristoranti potranno gestire esclusivamente la preparazione e cucina dei piatti e concentrarsi sull'offerta di prodotti di qualità da offrire ai clienti, senza doversi preoccupare delle complessità che derivano della gestione di un normale ristorante. Deliveroo incontrerà questa esigenza diventando un marketplace dove ordinare i propri pasti ed occupandosi di tutto il processo. Come? Sfruttando (anche) le nuove tecnologie, dai Big Data per la piattaforma infrastrutturale all'intelligenza predittiva degli algoritmi per prevedere la domanda passando per il tracking in real time della consegna.

Una grande opportunità ma un mercato ancora piccolo
Bassi investimenti capex, eccellente operatività, distribuzione ottimizzata e poi marketing su misura, strategie di brand awarness, posizionamento fisico: la concezione attualizzata di ristorante si compone di una moltitudine di elementi che hanno nella delivery una componente fondamentale e nelle dark kitchen un (potenziale) grande asset. Dan Houghton, co-Ceo della catena di ristorazione messicana Chilango, ha utilizzato il termine “food production facility” per riassumerne il ruolo di fabbriche del cibo che devono produrre un valore aggiunto per aumentare la qualità del servizio al cliente, in termini di varietà dell'offerta in primis. È ancora molto presto per fare previsioni, ha però aggiunto, evidenziando come “la presenza sul mercato di operatori come Domino, che optano per mantenere un numero consistente di negozi fisici, non deve passare inosservato. Le dark kitchen sono un'opportunità molto eccitante, ma credo che al momento debbano agire in ottica multibrand perché il mercato indirizzabile è ancora piccolo”.

I corner nelle aziende
Se per i ristoranti tradizionali, con l'affermarsi del food delivery, la possibilità di perdere il controllo dei propri clienti nel lungo termine è un rischio calcolato per guadagnare in visibilità e ottimizzazione degli investimenti, il fenomeno delle dark kitchen ha già trovato “applicazione” anche all'interno di realtà aziendali, sottoforma di corner debitamente attrezzati dove acquistare e consumare il proprio piatto pronto. È il modello di cucina “chiusa” che ha sposato anche la startup milanese Foorban, che da qualche mese opera nella sede di Amazon e si appresta ad aprire entro la fine dell'anno altri cinque “siti produttivi” offline in ambito b2b tra il capoluogo lombardo e Roma.

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