Food24

Dossier Mymenu, il food delivery parla italiano. E punta sulle aziende

  • Abbonati
  • Accedi
Dossier | N. 21 articoli Food delivery

Mymenu, il food delivery parla italiano. E punta sulle aziende

È giovane, essendo nata a Milano nel 2013, ed è soprattutto al 100% italiana, peculiarità che nel mondo delle consegne a domicilio di piatti pronti – dove a fare la voce grossa sono operatori come Just Eat, Foodora, Deliveroo e Glovo e da buon ultimo Uber Eats – non è assolutamente trascurabile. Se poi, come nel caso di Mymenu, si riesce a diventare la prima piattaforma completamente “made in Italy” del food delivery, con volumi di transato arrivati a cinque milioni di euro nel 2018 e una rete di oltre 500 ristoranti di fascia medio-alta (Stendhal, Coquillage by Osteria di Brera e Berberè tanto per fare dei nomi) in sei città del Nord Italia (oltre al capoluogo lombardo Brescia, Bologna, Modena, Padova e Verona), è giusto nutrire grandi ambizioni. E non solo perché agli 1,5 milioni di euro raccolti fino a oggi da investitori privati e istituzionali (tra cui il noto fondo di venture capital P101) si aggiungerà prossimamente nuova liquidità grazie alla campagna di fundraising avviata di recente con un obiettivo di ulteriori 1,5 milioni.

Team giovane e pareggio nel 2020
Le nuove risorse, come ha spiegato al Sole24ore.com il presidente e co-fondatore della società, il 30enne Giovanni Cavallo, “serviranno principalmente per raggiungere il punto di pareggio, previsto nel primo trimestre del 2020, e quindi per il consolidamento delle attività nelle sei città dove siamo già presenti e l'espansione su nuove città target, con particolare attenzione al mercato B2b. La missione principale di Mymenu, che dopo la fusione con Sgnam e l'acquisizione Bacchetteforchette (altre due aziende italiane del settore) lavora con un team di 20 persone con un'età media di 28 anni, è da sempre quella di offrire ai clienti la possibilità di ordinare a domicilio il pranzo e la cena (che incide per circa l'85% dei volumi, con un picco nel weekend) da una selezionata lista di esercizi, occupandosi dell'intero processo, dall'inserimento dell'ordine da parte del cliente alla consegna dello stesso completata da un driver incaricato.

A proposito di rider, e sono circa 600 quelli che collaborano attualmente con la società, lo scorso maggio Mymenu è stata la prima realtà a firmare la “Carta dei diritti fondamentali dei lavoratori digitali nel contesto urbano”, di fatto il primo passo ufficiale comune tra operatori del food delivery, lavoratori e istituzioni per cercare di regolamentare il ruolo del driver in Italia, e rivendica la paternità di una formazione “ad personam” e di retribuzioni mediamente superiori alla concorrenza. Non saranno fattori che determinano la qualità del cibo recapitato a casa ma un ottimo presupposto per migliorare la qualità del servizio nel suo complesso, ed aumentare di conseguenza il grado di fidelizzazione dei clienti, decisamente sì. E i numeri sembrano confermarlo: oltre 1,2 milioni di pasti consegnati fino ad oggi, raddoppio dei volumi negli ultimi 18 mesi, uno scontrino medio che viaggia sui 38 euro (rispetto ai circa 20 del settore) in ambito consumer e sui 62 euro con i clienti B2b, con una frequenza di sei ordini al mese, tre volte superiore a quella di un utente B2c.

Obiettivo le grandi aziende
Per i tre fondatori – al fianco di Cavallo vi sono Edoardo Tribuzio nel ruolo di Ceo e Lorenzo Lelli in quello di Chief technology officer – la nuova sfida è per l'appunto quella di far diventare Mymenu un punto di riferimento per le grandi aziende, da un lato proponendosi come piattaforma in grado di soddisfare le esigenze di organizzazioni di ampie dimensioni e maggiormente spendenti del cliente consumer, dall'altra proponendo la propria tecnologia a grandi imprese alimentari (soprattutto italiane) per aiutarle ad innovare i processi in chiave digitale.

La virata verso il B2b è scattata dal primo trimestre di quest'anno, come precisa Cavallo: “L'azienda si sta focalizzando anche sulla consegna di pasti a clienti business tramite convenzioni in esclusiva, che permettono di garantire un servizio più continuativo vista la quotidiana necessità del target di riferimento”. Di quali realtà stiamo parlando? Di grandi aziende di consulenza e studi legali internazionali che necessitano di sistemi di fatturazione diversi, di una clientela per cui Mymenu sta anche testando un'integrazione di tipo verticale finalizzata ad aumentare l'offerta di prodotti di qualità anche nelle zone meno servite da ristoranti di fascia medio-alta. Non tutti ordineranno (come è capitato) cinque bottiglie di champagne Cristal per un aperitivo spendendo oltre mille euro, ma l'idea è fortemente quella di dare un'impronta diversa, a tinte completamente tricolori, al food delivery. Un fenomeno che, bene ricordarlo, solo in Italia vale qualcosa come 4,7 miliardi di euro secondo le ultime rilevazioni di Euromonitor International.

© Riproduzione riservata

>