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Questo articolo è stato pubblicato il 03 aprile 2012 alle ore 08:23.

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ROMA - È una sorta di 'spending review' della politica industriale italiana. Un censimento dal quale partire per ridefinire, alleggerendolo e rendendolo più efficiente, il sistema degli aiuti alle imprese. Il lavoro che stanno conducendo i tecnici del ministero dello Sviluppo economico sugli incentivi si può considerare pronto: 866 interventi attivi, di cui 51 nazionali e 815 regionali. Si partirà da qui per rimettere ordine in una palude di interventi in alcuni casi definanziati, in altri rivelatisi inutili doppioni o poco d'appeal per eccessive complicazioni burocratiche.

Nel periodo 2005-2010 sono state concesse agevolazioni per 45,7 miliardi mentre le erogazioni, quindi i flussi di risorse effettivamente arrivate alle imprese, sono state pari a 33,6 miliardi. Di poco superiore a 152 miliardi il totale degli investimenti favoriti. In particolare nell'ultimo anno di rilevazione, il 2010, sono stati concessi incentivi nazionali, che fanno capo essenzialmente allo Sviluppo economico, per 3,3 miliardi ai quali si aggiungono 2,5 miliardi di fonte regionale. Nel complesso un calo annuo del 5,6%. Sono le erogazioni però, colpite dalla crisi e la necessità di frenare la spesa pubblica, a far registrare la diminuzione più vistosa: a livello nazionale da 4,5 a 3,7 miliardi e per le regioni da 1,8 a 1,4.

Insomma, i rubinetti sono sempre meno generosi, inducono la politica industriale a un serio ripensamento e spiegano perché dopo anni di impasse sembra sia davvero arrivato il momento di riorganizzare la materia e orientare in modo più finalizzato le risorse che dovessero riemergere. Al momento la riforma degli aiuti alle imprese, con il taglio di 20-25 norme sulle 51 nazionali, potrebbe portare alla luce un mini 'tesoretto' di 500-700 milioni in due anni che verrebbe utilizzato per quelle che il ministro dello Sviluppo Corrado Passera considera scelte prioritarie: ricerca e innovazione (con il credito di imposta), internazionalizzazione e aree di crisi industriale (concentrandosi su un ventaglio limitato di casi emblematici). Due le possibili vie per il riassetto: il decreto legislativo, con il quale dare seguito alla delega al governo contenuta nello Statuto delle imprese, o direttamente il decreto legge che consentirebbe maggiori margini di manovra ma per il quale andrebbero attentamente motivati al Quirinale i requisiti di urgenza.

Ad ogni modo il ministero punta a mettere rapidamente ordine tra numeri che appaiono davvero impressionanti. Se si considerasse tutta la platea degli aiuti, inclusi quelli che hanno cessato di operare e registrano solo erogazione di vecchi contributi, si salirebbe addirittura a 1.082 interventi di cui 78 nazionali per il 2005-2010. Anche il totale delle concessioni salirebbe, sfiorando i 12 miliardi, se si includessero le garanzie (ad esempio l'attività del Fondo centrale per le pmi), un dato che tuttavia è tecnicamente troppo disomogeneo rispetto ai contributi diretti e al finanziamento bancario attivato dalle norme di incentivazione. Sta di fatto che la materia è talmente vasta e ingarbugliata che negli ultimi anni ha generato stime di fonte diversa tra loro anche molto divergenti. Si va dai 12 miliardi messi a fuoco dalla Ragioneria dello Stato (7,6 sotto forma di contributi in conto capitale e contributi in conto interessi, 3,6 attraverso incentivi fiscali e 700 milioni nella forma di incentivi contributivi e previdenziali) ai 50 miliardi citati in passato dal senatore ed economista Mario Baldassarri. Molto più bassa la stima della società di ricerche specializzata Met: meno di 3 miliardi per l'industria e i servizi alla produzione.

Al di là di differenti stime e classificazioni, un'evidenza sembra accomunare tutte le analisi: l'Italia resta nelle posizioni di coda nel confronto europeo sugli aiuti di Stato destinati all'industria e ai servizi. Ma soprattutto, dalla ricognizione in corso sta emergendo come non sempre un sistema di incentivazione diffuso possa produrre la mole di investimenti attesi. La crisi è infatti una variabile pesantissima: dopo la caduta degli investimenti nel 2007 e una risalita l'anno successivo, nel biennio 2009-2010 in corrispondenza della crisi si è verificata un nuovo crollo, particolarmente visibile al Sud con un calo dell'80% rispetto al 2008.

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