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Questo articolo è stato pubblicato il 03 aprile 2012 alle ore 06:45.

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BOLOGNA
Nella faccia di Andrea Marcellan, amministratore delegato della Faac, la multinazionale bolognese che opera nel settore dell'automazione di porte e cancelli, c'è tutta la meraviglia di un manager che dalla sera alla mattina si ritrova a gestire il consiglio d'amministrazione più eterogeneo della storia. Da giovedì scorso Marcellan ha in mano le redini di un'azienda che, per volontà del suo defunto proprietario, Michelangelo Manini, è al 66% della Curia di Bologna. Lo stupore dell'ad si riflette nelle espressioni silenziose dei francesi del gruppo Somfy, che controllano il restante 34% del gruppo di Zola Predosa, alle porte di Bologna, e che ieri si sono seduti attorno a un tavolo per il primo Cda della nuova era aziendale targata Carlo Caffarra, l'arcivescovo di Bologna, oggi socio di maggioranza.
Molto sconcerto e poche parole, pur confermando tutti che il management non sarà toccato, così come saranno garantiti tutti i posti di lavoro, un migliaio i dipendenti in 12 Paesi, 200 nel quartier generale. «Siamo sorpresi di quanto accaduto, non ci aspettavamo di avere questo nuovo socio. E non ci aspettavamo che le condizioni del proprietario fossero critiche fino a questo punto», ammette Marcellan, precisando che il consiglio di ieri pomeriggio si è concentrato su «atti formali come la cooptazione del nuovo consigliere che ha preso il posto di Manini». Ossia la Curia, rappresentata dall'avvocato Andrea Moschetti, già braccio destro di monsignor Gianluigi Nuvoli, economo dell'Arcidiocesi.
Il testamento olografo redatto nel 1998 da Michelangelo Manini non è mai stato rivisto e pare blindatissimo, così come riservato e lontano dalle cronache mondane ed ecclesiastiche era il testatore. A conservarlo è stato il notaio bolognese Sergio Bertolini, uomo di fiducia del proprietario della Faac e prima ancora di suo padre, Giuseppe Manini, fondatore della multinazionale, che già nel 1965 intuì il potenziale straordinario dell'applicazione dei principi dell'oleodinamica a cancelli, porte e sbarre (anche il brevetto del Telepass è targato Faac).
Applicazione che ancora oggi vale per la multinazionale tascabile un business da 214 milioni di euro, con un utile netto 2011 di 27 milioni. Mentre è stato stimato in 1,7 miliardi il lascito testamentario alla curia bolognese tra multinazionale, immobili, quote aziendali e liquidità, anche se solo oggi partiranno le operazioni ufficiali di inventario. Curia che ha dichiarato fin da subito che non ha alcuna intenzione di cedere, né ai francesi né ad altri, il proprio pacchetto azionario di maggioranza. E che già ieri, subito dopo il Cda di Faac, ha incontrato nella sede diocesana di via Altabella i soci francesi di minoranza per condividere il piano industriale.
Conferma della volontà della Chiesa di non vendere arriva dal suo economo, monsignor Gianluigi Nuvoli: «Daremo seguito alle volontà di Michelangelo Manini e terremo il pacchetto azionario che ci ha voluto lasciare». In tempi di precariato e articolo 18, poi, Nuvoli ribadisce anche il mantenimento dei «posti di lavoro e dell'etica del lavoro», come elementi prioritari. Una rassicurazione inviata ai sindacati, che all'indomani della notizia avevano espresso a loro qualche perplessità circa questo "divino" ingresso nel mondo del business internazionale. «Il denaro non andrà ai preti – dettaglia l'economo – ma sono in opere di culto e di carità. Innanzitutto a diffondere la conoscenza del Vangelo, e con questo intendo in ogni senso, anche indiretto, come il restauro del patrimonio immobiliare della Chiesa, creando così tra l'altro nuove opportunità di lavoro. Dall'altro aiuteremo i poveri, come abbiamo sempre fatto».
E che il caso Faac sia più unico che raro non lo sostiene solo la Conferenza episcopale italiano ma anche la vaticanista Angela Ambrogetti che ricorda un unico precedente in qualche modo ricollegabile, «quello dell'industriale milanese Marcello Candia, che negli anni Settanta vendette l'azienda, liquidò i fratelli e “Da ricco che era” (come titola la sua biografia) partì per l'Amazzonia per costruire un ospedale per i poveri delle favelas». Ma qui non si tratta di spirito missionario di un imprenditore che decide di cambiare vita, ma di un estremo atto di un imprenditore che affida alla curia un compito cui certo non era avvezza. Così il signore dei cancelli si è trovato aperto, automaticamente, il cancello del Paradiso.
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