Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 25 aprile 2012 alle ore 07:20.
L'ultima modifica è del 25 aprile 2012 alle ore 08:12.

Invocare la crescita non basta a fare la crescita. E se poi la politica del governo per lo sviluppo diventa solo un gioco di specchi, la sfiducia delle imprese e delle famiglie aumenta, diminuisce la credibilità della "squadra Monti" e si riducono al lumicino le possibilità per l'Italia di tirarsi fuori dalla crisi.
Monta ormai da mesi la rabbia delle imprese per un credito che non c'è e per una pubblica amministrazione che paga ormai con tempi biblici. Problema noto. Molto meno nota la soluzione. Tante parole, finora, da parte del governo, pochi passi avanti.
E ora viene alla luce un nuovo fronte. Quello dei rimborsi dei crediti Iva. Partita da alcuni miliardi di euro, che tornano sempre meno dallo Stato alle imprese che anticipano. Otto miliardi nel 2009, 7 nel 2010, meno di 6 l'anno scorso e in questo primo trimestre un ulteriore dimezzamento: 891 milioni contro i quasi 2 miliardi dell'anno precedente.

L'inchiesta che il Sole 24 Ore sta conducendo ormai da giorni evidenzia una realtà preoccupante. Con decine di imprese che escono allo scoperto e denunciano gli inaccettabili ritardi dei rimborsi. Molte vantano crediti per decine di milioni e paventano anche la chiusura per mancanza di liquidità. Un big come la De Cecco ha denunciato crediti per 48 milioni, il 13% del fatturato, con evidenti conseguenze sulla capacità di investimento e di crescita sui mercati internazionali, che pure sarebbero a portata di mano per qualità di prodotto e capacità manageriali.
Ecco come (non) si fa la crescita in Italia. Tante, tantissime, parole. Ma pochissima consapevolezza dei problemi reali delle imprese sulle cui gambe quella crescita dovrebbe correre. Rivelatore, in questo senso, il silenzio con cui il ministero dell'Economia - anche sollecitato dal Sole 24 Ore - non ha ritenuto in questi giorni di dare una risposta alle preoccupazioni delle imprese.

Un silenzio che forse trae origine anche da un imbarazzo: quei fondi destinati ai rimborsi sono infatti utilizzati dal Governo per dare copertura finanziaria a più di una delle riforme approvate nelle scorse settimane. Tra queste quella recentissima del mercato del lavoro. E per cifre tutt'altro che trascurabili: 581 milioni nel 2013 e addirittura 907 nel 2014.
Di più. L'articolo 35 del decreto liberalizzazioni, quello che doveva sbloccare 2,7 miliardi di debiti che lo Stato ha accumulato con le imprese, attinge proprio alle risorse disponibili sulla contabilità speciale 1778 dell'Agenzia delle entrate, destinata a rimborsi e compensazioni di crediti d'imposta. Come dire: saranno le imprese con i loro crediti Iva a ripagare altre imprese che vantano crediti commerciali con la pubblica amministrazione.

Non che il problema non fosse noto al Governo. In sede di discussione al Senato, infatti, il Servizio bilancio di Palazzo Madama aveva sollevato la questione con chiarezza: «In relazione all'utilizzo di somme della medesima gestione di tesoreria nell'ambito di altri provvedimenti, sarebbe opportuno acquisire un quadro informativo aggiornato sulle disponibilità e, nel presupposto di un corretto utilizzo di tali somme, appare opportuna una riflessione sulla dotazione finanziaria di tale contabilità, che potrebbe risultare sovrastimata rispetto alle esigenze proprie, stanti i diversi prelievi sopra ricordati».
Qualcuno, evidentemente, ha preferito chiudere gli occhi. Andava dato un segnale sui crediti commerciali con lo Stato e allora poco male se i fondi si reperivano a scapito di altri crediti, questa volta fiscali. Un gioco di specchi, appunto. Dove però, prima che la crescita, rischia di dissolversi la credibilità del Governo.

Shopping24

Dai nostri archivi