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Questo articolo è stato pubblicato il 08 maggio 2012 alle ore 06:44.

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PARMA - Mario Catania e Corrado Passera bocciano la junk food tax di Renato Balduzzi. Il confronto a distanza tra le imprese e il ministro della Salute, promotore del balzello sul cosiddetto cibo spazzatura, sembra aver trovato ieri il verdetto finale a Parma, in occasione del convegno inaugurale della sedicesima edizione di Cibus, il Salone internazionale dell'alimentazione che terrà banco fino a giovedì 10 maggio.

«Sarebbe chiaramente un errore un'imposta di questo tipo. Dobbiamo invece lavorare sull'educazione alimentare», ha sottolineato pubblicamente Catania. Il collega dello Sviluppo economico gli ha fatto eco a margine dell'assemblea di Federalimentare, ribadendo la sua contrarietà: «Non è quello il modo per spingere nella direzione della corretta alimentazione, quindi sicuramente almeno due ministeri sono contrari e non siamo gli unici».

E ancora più esplicito è stato il presidente della commissione Agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento Europeo, Paolo De Castro, che è andato anche oltre. «Bisogna stare molto attenti nell'ipotizzare una food tax in Italia, perchè rischiamo di trasferire una sorta di "tassa Tafazzi" sulle nostre industrie alimentari. E non c'è comparto che verrebbe escluso da questa tassazione ulteriore, dall'industria dolciaria, la Nutella ad esempio, al comparto caseario».
Un segnale positivo per i 2.300 espositori di Parma e per tutti i 6.300 operatori dell'industria alimentare. Un settore leader per export nel Paese, 23 miliardi l'anno scorso (+10%), con l'obiettivo di arrivare a 25 miliardi a fine 2012, a fronte di un business di 127 miliardi (con un trend del +2,4% nel 2011 che sembra confermato quest'anno). «Speriamo sia vero – ha commentato il no dei due ministri Filippo Ferrua, presidente di Federalimentare – e che Catania e Passera convincano Balduzzi. La food tax è un balzello odioso». L'impegno del governo è stato chiaro e condiviso anche sull'altra istanza delle imprese agroalimentari: evitare il previsto incremento dell'aliquota Iva a ottobre. «Faremo di tutto nel rispetto dell'equilibro di bilancio – ha assicurato Passera – come dimostra lo sforzo per trovare risorse alternative nella spending review e nella lotta all'evasione fiscale. Perché l'agroalimentare è la dimostrazione, più di qualunque altro settore, che il nostro Paese ce la può fare a superare la crisi. Se l'export continua a crescere, significa che questa industria ha già trovato la formula per fare della qualità made in Italy un marchio di riconoscimento oltreconfine».

Non sono mancate critiche a una filiera agroalimentare «ferma agli anni 50 – ha rimarcato Catania – con troppi intermediari a filtrare le relazioni tra pochi player industriali e pochi operatori della materia prima, soggetti che distruggono solo valore e allontanano le possibilità di accordi su volumi, qualità e prezzi tra le parti produttive. Ma se qualcosa sta cambiando, gli operatori sappiano che troveranno aperte le porte del mio ministero». A preoccupare sono non solo i costi di materie prime (+14% quelle agricole nell'ultimo anno, secondo Ismea), la flessione prevista dell'occupazione (con un saldo negativo del 5,8% in questi primi mesi tra chi diminuisce agli organici e chi li aumenta, dice l'indagine Format), ma la diffusione dell'italian sounding («un mercato di falsi made in Italy da 60 miliardi di cui dobbiamo riappropriarci», è stato l'input del presidente di Fiere di Parma, Franco Boni) e l'assenza di un soggetto forte per promuovere all'estero il frammentato sistema produttivo alimentare. «Nel nuovo Ice abbiamo fatto sì che l'alimentare fosse rappresentato anche in Cda», ha ricordato Passera in risposta alla richiesta di Ferrua di raddoppiare la quota di spesa (oggi al 7%) destinata alla promozione estera.
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