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Questo articolo è stato pubblicato il 25 maggio 2012 alle ore 13:01.

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Tre milioni di barili al giorno: al prezzo attuale fanno quasi due miliardi di dollari a settimana. In Iraq la produzione di petrolio ha ormai recuperato i livelli precedenti l'occupazione statunitense e, con i nuovi investimenti avviati dalle multinazionali del settore, dovrebbe raggiungere i 6 milioni nel 2015. Il Paese quindi, sotto il profilo dei conti pubblici, comincia ad assomigliare agli altri Stati del Golfo.

Il budget dello Stato chiude con un saldo positivo, crescono le importazioni, è ormai in decollo l'edilizia, avanzano i grandi progetti nel campo delle infrastrutture e nelle attività a valle del petrolio (petrolchimica, energia). Il Governo ha anche iniziato ad affrontare il rilancio agricolo di un territorio con vaste aree irrigue (ex Mesopotamia fertile) attraverso il ripristino dei sistemi di irrigazione e l'acquisto di macchinari e trattori.
I Paesi che stanno cogliendo in pieno le opportunità del nuovo dinamismo dell'economia irachena sono attualmente l'Iran e la Turchia, primi fornitori di una nazione che in questo momento ha bisogno di tutto. Ma ci sono grandi opportunità anche per l'Italia, in particolare per le aziende che possono fornire tecnologie e know how per la fase due: quella dell'avvio di nuove attività nel settore non oil e della ricostruzione di una parte dell'apparato produttivo del Paese, attività che vedono in prima fila un nocciolo duro di imprese statali che il Governo di Baghdad ha rinunciato a privatizzare, ma che grazie ai fondi del ministero dell'Economia ora possono investire.

Sono decine di aziende, alcune con diverse fabbriche, che sotto il regime di Saddam Hussein potevano vivere grazie a un forte protezionismo. Entrate in crisi con l'apertura delle frontiere, per effetto delle importazioni, stanno cercando ora di rilanciarsi. Si aggiunge un numero crescente di imprese private, più piccole ma intenzionate a cogliere le opportunità del momento e ad estendere la loro attività. I capitali, in questo caso, vengono da una classe di operatori arricchitisi con l'occupazione americana e che ora, ai fatturati dell'attività di trading vogliono affiancare anche attività di produzione. Tutti cercano partner in grado di fornire tecnologie più aggiornate.
In quali settori? A parte la filiera dei servizi per l'industria petrolifera, i comparti più dinamici sono quelli connessi al boom dell'edilizia. Il Paese ha iniziato ad affrontare infatti il problema, drammatico, degli alloggi. Ci sono Governatorati dove gli indici di affollamento sono di 3-4 persone per stanza con punte che raggiungono livelli pari al doppio. Di qui l'avvio di numerosi progetti residenziali per migliaia di appartamenti alla periferia delle maggiori città.

Il piano di sviluppo del Governo prevede infatti nei prossimi tre-quattro anni di ultimare 2,5 milioni di nuovi alloggi, oltre alla costruzione (o al ripristino) di decine di scuole e ospedali. Proprio ieri il gruppo sudcoreano Hanwha ha annunicato di aver finalizzato un contratto da ben 7 miliardi di dollari per la costruzione di 100mila abitazioni nel progetto della nuova citta di Bismayah. Si aggiungono numerosi progetti per il rilancio turistico-religioso di località come Karbala o al Najaf, meta di milioni di visitatori provenienti dall'Iran e dai Paesi vicini. Con la costruzione di nuovi alberghi (alcuni di standard molto elevato) e finanziamenti provenienti, in questo caso, anche dai Paesi del Golfo. Si apre quindi un vasto spazio per la produzione in loco di materiali (cemento, ceramiche, laterizi) componenti (profilati, infissi) e impianti collegati all'edilizia che attualmente sono importati.

Come e dove possono muoversi le aziende italiane interessate a valutare il mercato sia per la fornitura di tecnologie che per eventuali accordi di partnership con aziende locali (contratti di gestione, acquisizione di rami d'azienda) o investimenti greenfield localizzabili nei numerosi parchi industriali messi a disposizione in diverse località del Paese? La situazione è stabilizzata nella Regione autonoma del Kurdistan, dove si può operare in condizioni di sicurezza più che accettabili, con molti cantieri aperti, un forte dinamismo della piccola imprenditoria privata, abbondante liquidità in circolazione. Utilizzando l'ulteriore possibilità di appoggiarsi, logisticamente, sulla vicina Turchia.

Ma anche nel resto del Paese è in atto una graduale "devolution" verso Governatorati locali. Nel Sud e a Bassora, principale porto e cuore economico del Paese, si può operare in buone condizioni di sicurezza. Il punto di riferimento per chi vuole operare con aziende e operatori locali, accanto alle Camere di Commercio è la Nic (Commissione nazionale per gli investimenti), che svolge il ruolo di sportello unico. Il lavoro della Commissione, sia a livello centrale che in diversi Governatorati è sostenuto da Unido (United nations development organisation) che ha effettuato una prima lista di aziende soprattutto private e di nuovi progetti di investimento a Bassora, nei Governatorati di Al Anbar e Al Nayaf e a Damasco.

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