Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 29 maggio 2012 alle ore 10:25.

My24

«Qui non si viene a piazzare il catalogo dei propri prodotti, ma a costruire un progetto imprenditoriale serio e stabile, con a fianco un avvocato e un commercialista». Lo chiarisce, ad apertuta del Forum Italia-Brasile Gian Mario Spacca, presidente della Regione Marche, coordinatore della missione economica organizzata dal ministero dello Sviluppo economico in collaborazione con gli Affari esteri, per 200 imprenditori del "Made in Italy" a San Paolo del Brasile, dal 21 al 26 maggio scorsi.

Grandi potenzialità e insidie fiscali. Il Paese, che nel 2010 ha registrato un Pil in crescita dell'8% e aumentato l'interscambio con l'Italia del 35% (da 9 a 12 miliardi di dollari, in dieci anni è cresciuto del 225%), rappresenta un enorme potenziale di mercato per il nostro export, oltre ad un bacino apparentemente inesaurbile di materie prime, dai metalli al petrolio e dal grano al caffè, ma rifiuta ogni logica di terreno di conquista e punta ad attrarre partner e progetti imprenditoriali che prevedano il coinvolgimento del nascente tessuto di Pmi locali o, quanto meno, di una quota di forza lavoro.

In pratica, a causa degli elevati dazi all'importazione (che sull'arredamento e la nautica, ad esempio, possono arrivare sino all'80% del valore del bene), o si delocalizza aprendo uno stabilimento o si aggira il balzello facendo arrivare nel Paese carioca semilavorati e componentistica da assemblare in loco tramite joint venture o accordi commerciali con imprese locali. In cambio c'è un mercato "vergine", una domanda interna "affamata" di made in Italy, meccanica, macchinari industriali, elettronica, tecnologie ad alto valore aggiunto, vaccini e strumentazione sanitaria.

Il Brasile è già oggi la sesta economia mondiale (e nel 2015 supererà la Francia). Il Pil 2011 – 2.500 miliardi di dollari – è più del doppio di quello messicano e 5 volte quello argentino. Nell'ultimo anno ha creato 1,4 milioni di posti di lavoro, ridimensionato il debito pubblico al 37% sul Pil (era al 60% nel 2002) e l'inflazione al 5,2% (era al 17% solo 9 anni fa). Un grande cantiere edile e infrastrutturale per due appuntamenti ravvicinati: i Mondiali di calcio del 2014 e le Olimpiadi del 2016. Infine, l' avanzo primario ha spinto il governo a creare un fondo sovrano da 360 miliardi di dollari per lo sfruttamento del petrolio.

Infine, con l'Italia c'è feeling: su 193 milioni di abitanti, 25 milioni sono gli oriundi italiani. «E l'Italia – ha spiegato l'ambasciatore italiano, Gherardo La Francesca – è presente, nel 2012, con 705 imprese che danno lavoro a 130mila dipedenti brasiliani (205 nel 2007)». «L'export italiano in Brasile – ha fatto eco Riccardo Maria Monti, presidente dell'Ice – potrebbe raddoppiare nei prossimi tre anni, mentre le aziende brasiliane in Italia sono appena dieci». «Nel 2011 – ha spiegato Massimo D'Aiuto, Ad di Simest – il Brasile è stato il primo Paese per investimenti approvati (225) del valore di oltre 1,4 miliardi. Settori? Soprattutto edilizia e meccanica».

Tuttavia, resta al 136° posto della classifica Doing business per facilità di fare impresa. Non solo dazi ma 3 diversi livelli di tassazione, regole giuridiche e fiscali che cambiano in base allo Stato e al prodotto, una Pa con molte inefficienze e non immune alla corruzione.

«Abbiamo sviluppato brevetti nel campo dei raccordi per tubature ed edilizia grazie a un bando Ue – spiega Domenico Bucchi, della Bucchi Srl di Lugo di Romagna (Ravenna), 31 addetti e 3 milioni di euro di fatturato – ma l'Europa, che assorbiva il 95% del nostro export, non può più essere uno sbocco». «Delocalizzare è contrario alla nostra mission di cooperativa – chiarisce Fabrizio Barbieri (Cooplegno Modena Porte, 200 addetti e 400 milioni di fatturato annuo) ma se troviamo un partner per l'assemblaggio e conosciamo studi di architettura potremmo farci inserire nei capitolati di costruzione e risparmiare sui tempi di consegna. Certo che qui il fisco è più nebuloso che da noi: in base al codice di catalogazione i nostri prodotti posso pagare il 47 o il 68% di dazi. Non è poco». «Produciamo macchinari per la produzione di gomitoli di lana – sottolinea Christian Tosi della bolognese Curti Spa (50 milioni di fatturato e 200 dipendenti) – . Una nicchia apparentemente esente da Iva e con dazi bassi. Ma sarà vero? Non si capisce». «Vendiamo da più di 20 anni in Brasile – ha aggiunto Andrea Razeto (della genovese F.lli Razeto e Casereto Spa, 37 addetti e 3 milioni di fatturato) – accessori di design per la nautica che facciamo assemblare in loco. Se non facessimo così subiremmo dazi dell'86 per cento».

«Da tempo pensiamo di impiantare uno stabilimento qui per "servire" l'aerospazio brasiliano che è tra i primi al mondo per produzione di aerei ed elicotteri – ha concluso Roberto Bonesio di Comutensili (60 addetti e 9 milioni di fatturato) – Abbiamo visitato gli stabilimenti della Embraer, che produce 5mila velivoli l'anno. Il cuore resta a Torino, ma siamo disponibili a trasferire qui il nostro know how».

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi