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Questo articolo è stato pubblicato il 15 giugno 2012 alle ore 10:21.

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Dopo le elezioni dell'estate 2011 era già ripartita, recuperando il vecchio passo da tigre asiatica. Le pesantissime alluvioni dell'autunno hanno provato a fermarla, ma la Thailandia ha la pelle dura. E i dati degli ultimi mesi parlano di un Paese con tutti i motori della crescita in ripresa: esportazioni, consumi, investimenti. Che si traducono in previsioni di crescita del Pil nel 2012 tra il 5,5 e il 7 per cento.
Gli scenari economici in Asia, infatti, stanno cambiando. E mentre Cina e India dando segni di stanchezza, la costruzione che sembrava più fragile, quella del mercato comune Asean, con 630 milioni di consumatori e una ricca dotazione di risorse, non solo "tiene", ma è pronta ad accelerare. E la Thailandia è al centro dell'edificio.

Con un numero importante di carte da giocare: solida base industriale con punte di eccellenza importanti nei settori chiave dell'elettronica e dell'auto, dotazione di risorse umane con costo del lavoro competitivo rispetto alla stessa Cina, industria turistica consolidata con nuove aree di crescita ad alto valore aggiunto come la filiera del "medical tourism", infrastrutture logistiche e piazza finanziaria sufficientemente sviluppate per giustificare l'ambizione della Thailandia di diventare il polo di riferimento per chi intende operare sui nuovi mercati asiatici del domani: Cambogia, Laos, Birmania (Myanmar). Il Paese ha però un problema: l'assetto politico troppo spesso rimesso discussione da un'élite politico-finanziaria poco incline ad accettare il responso delle urne.

La svolta, avvenuta del 2011, ha riportato al potere un partito discusso per la figura del suo leader-fondatore Thaksin Shinawatra (attualmente in "esilio") che si può basare però su una solida maggioranza parlamentare con un approccio attento ai ceti popolari inclusa la popolazione rurale e idee chiare in economia: le prime misure adottate sono state il rialzo del salario minimo nelle province più industrializzate (sempre su livelli bassi: 10 dollari al giorno) e la riduzione della tassazione delle imprese dal 30 al 23% con ulteriore taglio al 20% annunciato entro il 2013.
Obiettivo: consolidare la domanda interna puntando su consumi e investimenti. Immediata anche la reazione del nuovo Governo alle inondazioni del 2011, con un programma di investimenti di 8 miliardi di dollari nel settore idrogeologico per rimettere in sicurezza le aree a rischio nel centro e nel nord del Paese.

Punto di forza: i solidi fondamentali economici con una bilancia commerciale in surplus strutturale (solo nel 2012 è previsto un leggero deficit imputabile ai costi di ricostruzione), la competitività dei costi, un deficit statale contenuto (quest'anno sarà toccata una "punta" del 2,5% sul Pil che dovrebbe scendere al 2,1% nel 2013), un'incidenza del debito sul Pil inferiore al 48%, tassi di interesse (6% sull'interbancario) e inflazione (3,5% annuo) piuttosto alti ma comunque sotto controllo.
Eppure per l'Italia, la Thailandia, con poche importanti eccezioni (Italcementi, Danieli, Assicurazioni Generali) è un Paese in gran parte da scoprire. Sia per chi vuole vendere che per chi vuol produrre.

Nei settori tradizionali del made in Italy - filiera dell'abbigliamento, arredo, design - un limite è rappresentato dall'obbligo, quando si arriva allo stadio della distribuzione al dettaglio, di operare con un partner locale che, nel caso di un controllo diretto dei punti vendita, dovrà avere almeno il 51% delle quote. Ma l'interesse per l'acquisizione di marchi made in Italy da parte di gruppi commerciali e del mondo della grande distribuzione thailandese è elevato. Nei centri di maggior prestigio sono presenti tutti i grandi marchi: Gucci, Fendi, Zegna, Ferragamo, Max Mara, Tod's, Diesel.
In Thailandia c'è spazio anche per nomi meno conosciuti? La risposta è positiva, a condizione che le imprese siano consapevoli di dover operare in un mercato molto competitivo e di dover co-investire in immagine insieme ai loro partner e/o distributori.

I mezzi sono quelli tradizionali: televisione, magazine e eventi promozionali nei punti vendita.
Sul fronte della meccanica strumentale e di altri prodotti industriali, la situazione è in parte diversa. I dati sull'interscambio indicano una buona tenuta delle esportazioni italiane di tecnologia che continuano a godere di un'eccellente immagine, ma in termini relativi l'Italia sta perdendo posizioni.
Può valere l'esempio dei macchinari per un settore in forte sviluppo come l'industria plastica. Nel 2011 le importazioni thailandesi hanno totalizzato 800 milioni di dollari: un record storico con un aumento del 42% su base annua. Le esportazioni italiane sono state di 17 milioni. Eppure erano già di 18 milioni tre anni prima, quando l'import thailandese era nettamente inferiore (500 milioni).

C'è qualcosa che non va quindi. In tre anni tutti gli altri fornitori prima dell'Italia hanno registrato una crescita: il Giappone è cresciuto da 216 a 327 milioni, la Cina da 70 a 163. In aumento anche la Germania passata da 72 a 84 milioni, i suoi esportatori possono avvantaggiarsi di un migliore (e meno costoso) accesso al credito. Ma anche di una maggiore presenza sul posto in termini di assistenza e servizi. Ed è questa la sfida da affrontare.

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