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Questo articolo è stato pubblicato il 26 giugno 2012 alle ore 10:27.

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San Daniele, Culatello, Prosciutto di Parma, addio. Dalle tavole degli argentini spariscono i salumi italiani. E per un Paese in cui vivono 660mila italiani e dove i discendenti diretti e indiretti di nostri connazionali attraversano trasversalmente tutta la popolazione, non si tratta di una questione di poco conto. Ma la guerra ai prodotti Ue innescata dallo Stato sudamericano non fa male solo alla gola dei residenti: i danni maggiori sono per le imprese italiane, che contavano in una crescita dell'export verso l'Argentina proprio in considerazione della forte presenza di connazionali.

In totale l'anno scorso le esportazioni di prosciutto di Parma hanno segnato un aumento del 4%, per un giro di affari complessivo di 1,5 miliardi di euro, mentre la crescita all'estero per il San Daniele è stata del 2%. Per il Parma la crescita maggiore è stata in Australia (+80%), ma va bene anche l'Asia grazie alla forte ripresa del Giappone (+15,7%). In Centro e Sudamerica l'aumento era stato del 33,8%, anche se l'Argentina ha pesato per "solo" 264 tonnellate di salumi.

Il divieto all'import è arrivato in seguito all'accordo sottoscritto dalla segreteria del Commercio interno argentino con i produttori nazionali di carne suina, una misura che punta a proteggere il prodotto interno argentino e a frenare l'uscita di valuta dal Paese. Ma secondo la World organization for international relations (Woir) le restrizioni alle importazioni dell'Argentina violano le regole del commercio internazionale e devono essere subito rimosse. Dure proteste anche dalla Coldiretti, che intende far valere le regole del libero commercio internazionale: ma intanto i pochi argentini che si trovano con un prosciutto italiano in casa (o al ristorante) lo dovranno centellinare.

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