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Questo articolo è stato pubblicato il 25 luglio 2012 alle ore 06:44.

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ROMA
La premessa è ciò che vuole continuare a essere l'Italia: un paese che punta sul manifatturiero, oggi al secondo posto in Europa, mettendo al centro l'impresa, come motore per creare occupazione. «I posti di lavoro non si creano per decreto: sono le aziende che devono crescere, essere competitive e quindi in grado di assumere».
Stefano Dolcetta è da due mesi vicepresidente di Confindustria per i rapporti sindacali, oltre che ad del Gruppo Fiamm, azienda metalmeccanica che produce batterie per auto e impianti industriali. Lunedì c'è stato il primo incontro per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, altri settori sono al nastro di partenza. All'inizio di questo round contrattuale Dolcetta lancia un messaggio al governo e al sindacato: «Non si possono gestire i rinnovi come nel passato, il mondo è cambiato. Bisogna puntare ad accordi innovativi, salvaguardando la competitività delle aziende e contemporaneamente il potere d'acquisto delle famiglie, per stimolare la domanda interna». E, aggiunge, «senza scelte precise di politica industriale tutte le leggi di riforma del mercato del lavoro rischiano di essere solo terreno di scontro ideologico e non raggiungono l'obiettivo di creare occupazione. Credo che sulla riforma Fornero dovremo ancora lavorare. Le scelte che riguardano il mercato del lavoro, così come le politiche contrattuali, devono tenere conto del quadro economico: il paese deve avere un modello di sviluppo».
Contratti innovativi: difficoltà economiche e quindi poche risorse. Cosa dovranno fare le parti sociali? E che ruolo può svolgere il governo?
I contratti devono tenere conto anche del contesto internazionale. Potrebbe essere opportuno condividere alcune riflessioni prima con i sindacati e insieme proporre al governo la riduzione del cuneo fiscale. Alcune piattaforme presentano richieste economiche decisamente sopra le righe, ma in ogni caso ai lavoratori resta in tasca poco più della metà dell'aumento, mentre il costo, che è ben maggiore per l'impresa, ne penalizza la competitività. Abbiamo il cuneo fiscale e contributivo più elevato dei paesi occidentali, è qui che bisogna intervenire ed è su questo punto che Confindustria e sindacati dovrebbero lavorare.
C'è il rischio che i contratti non si facciano?
Non farli non giova a nessuno. Vorrebbe dire instaurare un clima di scontro a danno delle imprese e dei lavoratori. Credo invece che i contratti collettivi sapranno trovare soluzioni adeguate, anche differendo nel tempo gli aumenti contrattuali. Auspico che anche nella contrattazione di secondo livello ci sia grande attenzione alla competitività delle imprese. Servono accordi innovativi. Imprenditori e sindacati devono dimostrarsi all'altezza di questa sfida e proporre soluzioni che le forze politiche possano tradurre in legge. La situazione è drammatica: a settembre molte aziende potrebbero non riaprire.

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