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Questo articolo è stato pubblicato il 12 agosto 2012 alle ore 16:37.

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VARESE. Dal nostro inviato
C'era una volta il distretto varesino dell'antifurto per auto. Potrebbe cominciare con il classico incipit delle favole la storia che stiamo per raccontarvi. Anche perché nella storia, ambientata nel dedalo di viali alberati e stradine che dal centro di Varese si dipanano verso la periferia e il groviglio di paesi intorno, i canoni della favola non mancano. Lieto fine compreso.

Il distretto descritto alla fine del '91 nella 36esima puntata di quella storica inchiesta non c'è più. Della ventina di aziende che, insieme a decine di laboratori artigianali per l'assemblaggio, occupavano 3mila persone e fatturavano 300 miliardi di lire di cui tre quarti all'estero, ne sono rimaste solo tre.

Apparentemente un tracollo. In realtà è stata la naturale evoluzione di un settore produttivo nato per caso dalla genialità e dall'intraprendenza di tre amici poco più che ventenni che di giorno facevano lavori diversi e la sera s'incontravano al bar. Si erano inventati un prodotto e un mercato, partendo da un bisogno reale: proteggere un bene che stava diventando sempre più costoso, l'automobile. Erano Giuseppe Scazza, Dario Riganti e Piergiorgio Conti di cui tutti si ricordano nell'ordinato alternarsi di villette e capannoni nella "valle delle sirene" (come venne ribattezzato il distretto per richiamare la vitalità da Silicon Valley). La loro start-up, Sca-ri-co dalle iniziali dei cognomi, aveva depositato per prima il brevetto.

Il confronto economico a vent'anni di distanza per forza di cose non può essere omogeneo. Era pur sempre il secolo scorso e le vendite di auto continuavano a crescere. Quei 300 miliardi di lire del '91 oggi sono diventati ben più di 300 milioni di euro, ma realizzati con prodotti completamente diversi, molto più evoluti e sofisticati. Con protezione volumetrica e ultrasuoni, che includono servizi post-furto di "telematica assicurativa" allora solo immaginati dai protagonisti di questa storia. «Varese pensa all'antifurto spaziale» era il titolo dell'inchiesta di allora. Oggi è impensabile un modello produttivo basato sui terzisti che assemblavano antifurto e telecomandi nei loro laboratori: la maggior parte del fatturato deriva dal cosiddetto primo impianto, montato direttamente dalle case automobilistiche che impongono standard di qualità e di riservatezza rigidissimi. Si tollerano non più di 7 pezzi difettosi su un milione.

Questo non solo ha spazzato via la rete produttiva diffusa e artigianale ad alta intensità di lavoro, ma ha anche accelerato l'iniezione di forti dosi di tecnologie avanzate nel ciclo industriale. Il risultato è stato un ridimensionamento drastico dell'occupazione: sommando i numeri delle tre aziende che operano ancora in provincia (Cobra, Metasystem e Getronic) siamo ben al di sotto del migliaio di persone occupate. Il lavoro, dunque, ci ha rimesso, come in molti altri comparti manifatturieri. Accanto alle linee ci sono sempre meno persone e a scandire i ritmi ci pensano il ronzio dei robot antropomorfi che manipolano decine di migliaia di pezzi all'ora, e le vibrazioni del montaggio ad ultrasuoni.

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