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Questo articolo è stato pubblicato il 15 agosto 2012 alle ore 12:48.
E veniamo al caso specifico dell'Ilva di Taranto e al presunto reato, ipotizzato dal Gip Patizia Todisco, di disastro ambientale. «In Europa – ragiona il presidente di Federacciai – sono in funzione 11 stabilimenti siderurgici comparabili a quello dell'Ilva di Taranto: due in Inghilterra, due in Germania (Duisburg e Brema), due in Francia (Marsiglia e Dunkerque), uno in Belgio, uno in Olanda, uno in Spagna e due in Italia (Taranto e Piombino). Questi impianti sono subordinati alle stesse norme dell'Ilva di Taranto. Ebbene – ricorda Gozzi – durante l'incontro che lo scorso 1° agosto abbiamo avuto a Bruxelles con il commissario Ue all'Industria, Antonio Tajani, perfino i nostri concorrenti europei hanno riconosciuto che l'Ilva di Taranto risponde a degli standard di sicurezza ambientali come nessun altro. Questo perché negli ultimi sei-sette anni sono stati investiti dalla famiglia Riva 1,3 miliardi in interventi di compatibilità ambientale». I magistrati tarantini, continua Gozzi, hanno sollevato la questione del disastro ambientale, dovuta alla recrudescenza di tumori. Ma allo stesso tempo «i medici del lavoro ci dicono che il periodo di incubazione di queste malattie è di quindici-venti anni, e quindi i magistrati hanno fotografato una situazione vecchia di quindici anni. Nel frattempo il processo di risanamento dell'Ilva è andato molto avanti e oggi la situazione è completamente diversa da quella di vent'anni fa». In effetti va anche aggiunto che nei lunghi decenni durante i quali il padrone dell'Ilva era lo Stato italiano, attraverso l'Iri, del tema ambientale non si è mai curato nessuno, mentre l'impegno profuso dagli attuali proprietari (ora agli arresti domiciliari) è certificato dai bilanci della società (si veda Il Sole 24 Ore del 2 agosto 2012).
Forse, nota Gozzi, se c'è un aspetto sul quale il gruppo siderurgico poteva fare più è stato quello della comunicazione. «Sulla questione, delicatissima, delle perizie epidemiologiche è mancato del tutto il contraddittorio con la Procura, mentre la società avrebbe dovuto rispondere perizia su perizia». Nel 2011 l'impianto di Taranto aveva ottenuto l'autorizzazione ambientale integrata. L'autorizzazione è frutto di un processo durato quattro anni e conferma, secondo il presidente di Federacciai, che l'azienda è in regola con le normative sull'ambiente. «La nuova ordinanza del Gip – dice Gozzi – ingigantisce un problema che noi, come Federacciai, avevamo già posto all'attenzione dell'opinione pubblica con il nostro manifesto: quello della certezza del diritto, per l'impresa e per l'imprenditore. Per esempio sul tema delle emissioni lo stesso Tribunale del Riesame non ha detto all'azienda di mettersi in regola (perché in regola lo è già), ma di installare un sistema di centraline di rilevamento che dimostri in via permanente di rispettare i limiti previsti dalla legge. E poi impone all'azienda di utilizzare l'impianto per rimuovere ogni sorta di pericolo. Il Gip, invece di ricorrere in Cassazione contro il pronunciamento del Riesame, emana una nuova ordinanza di sequestro: così però la certezza del diritto si sgretola».
Ora però, in questa intricatissima vicenda che vede contrapposti perfino il Governo alla magistratura tarantina, è il momento di tornare al rispetto dei diversi ordinamenti, chiamando in causa attraverso i ricorsi la Corte di Cassazione. «È ineludibile – conclude Gozzi – il passaggio ai livelli di giudizio superiore e speriamo che ciò avvenga il prima possibile. Nell'interesse dell'Ilva e del Paese».
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