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Questo articolo è stato pubblicato il 22 agosto 2012 alle ore 11:35.

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Da Porto Alegre a Curitiba, da Rio de Janeiro a San Paolo, da Fortaleza a Manaus, i segnali di dinamismo parevano senza fine. La crescita, dal 2002 in avanti, pareva inarrestabile: un territorio sconfinato, grande 27 volte l'Italia, e un mercato interno quasi inesauribile, fatto di 200 milioni di consumatori. Il Brasile del doppio mandato di Lula, poi di Dilma Rousseff, si è imposto come uno dei Brics più dinamici.

Ora però ci sono segnali di rallentamento, la crisi internazionale non ha risparmiato neppure la prima economia latinoamericana. Il Governo è corso ai ripari, varando un piano di infrastrutture da 133 miliardi di real (53 miliardi di euro): i finanziamenti arriverranno dalle banche ai privati a tassi agevolati per costruire strade, ferrovie, porti e aeroporti. Il piano ha la durata di 30 anni ma oltre la metà degli interventi sono previsti nei primi cinque.
Giorgio Trebeschi, economista di Banca d'Italia distaccato a San Paolo, cuore pulsante del Brasile, conferma la frenata: «I dati del 2012, relativi al Pil che cresce del 2,5% rispetto al 2011, configurano un rallentamento più sensibile del previsto. Gli afflussi di capitali sono diminuiti, così come gli investimenti diretti dall'estero». Le ragioni del rallentamento sono tre: la siccità che ha frenato i volumi delle produzioni agricole, gli investimenti pubblici bloccati da un sistema farraginoso e spesso corrotto. E infine i ritardi di Petrobras, la società energetica nazionale che non ha attuato gli investimenti previsti.

Nel 2013 la congiuntura dovrebbe mostrare segni di ripresa, il Pil salire del 4%, secondo le previsioni degli economisti.
Il problema del Brasile di questi ultimi 18 mesi, è che «è vittima del suo successo». Questa è la tesi di Paulo Vieira da Cunha, ex direttore centrale della Banca centrale brasiliana. I policy maker carioca - secondo Vieira da Cunha - dovrebbero ridisegnare un nuovo modello economico, che superi lo schema consueto: export di materie prime e protezionismo industriale.
Un modello economico oltretutto intralciato da burocrazia e corruzione che secondo Trebeschi sono elementi che penalizzano la competitività brasiliana.

Sul fronte della domanda i consumi delle famiglie hanno costituito il traino dell'economia per oltre dieci anni. E proprio nel 2001 il "consumo" è stata la componente deternimante per uscire dalle secche della recessione. Ma ora anche i consumi sono in flessione.
Tuttavia, sia chiaro, a fronte di un rallentamento indiscutibile, il Brasile rappresenta sempre una grande opportunità per le imprese italiane: vi sono settori merceologici in cui l'Italia mantiene una buona capacità di penetrazione del mercato: prodotti industriali, prodotti chimici, macchine utensili, nautica da diporto, mobili.

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