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Questo articolo è stato pubblicato il 24 agosto 2012 alle ore 06:42.

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GARDONE VALTROMPIA (BS). Dal nostro inviato
Una valle da secoli aggrappata ad un antico sapere fare. Gardone Valtrompia è la capitale italiana, se non europea e mondiale, delle armi sportive. Il piccolo centro non è molto distante da Brescia, ma la strada è trafficata, nonostante la comunità aspetti da anni collegamenti più veloci. Servono quindi quasi tre quarti d'ora per salire in Valle, una decina di minuti in più rispetto al tempo che ci si mette a raggiungere Lumezzane, l'altro grande polo industriale (dove si producono casalinghi e valvole) della zona.
Gardone è più su di Lumezzane. E, complice la villa della famiglia Beretta e l'omonimo stabilimento a ridosso dell'abitazione (le prime tracce dell'attività armiera dei Beretta risalgono al 1526), questo centro a ridosso delle montagne conserva una certa eleganza, un fascino diverso rispetto a quello che sprigiona l'incontrollata e disordinata industrializzazione lumezzanese.
Il cuore del distretto delle armi è qui. L'identikit comprende, in estrema sintesi, una grande azienda diversificata e internazionalizzata, che si accompagna ad un pugno di realtà consolidate e di prestigio (tra queste per esempio Fabbri e Perazzi, aziende per le quali anche Eric Clapton o il re di Spagna Juan Carlos si scomodano ogni tanto per una gita in valle) e decine di piccoli artigiani che sanno costruire fucili da generazioni, come sembra naturale in questo territorio in cui ferro ed acqua non sono mai mancati.
Oggi la filiera gardonese è composta all'incirca da 140 imprese, soprattutto artigiane, medie e piccole, per un comprensorio che, oltre a Gardone Valtrompia, si estende in una ventina di comuni e dà lavoro a circa 5mila persone comprese l'indotto. In queste zone si concentra il settanta per cento della produzione di armi sportive europea, il cinquanta per cento a livello mondiale. Le radici solide e un saper fare trasmesso da generazioni hanno permesso al distretto, in questi ultimi venti anni, di reagire a ogni nuova minaccia con vigore. Negli ultimi mesi il comprensorio armiero gardonese è riuscito anche a vedersi finalmente riconoscere la qualifica di distretto, partecipando ad appositi bandi finanziati dalla Regione Lombardia.
Quello di oggi è senza dubbio un distretto molto più coeso rispetto a quello di 20 anni fa, molto più consapevole dell'importanza di fare rete. Gli scricchiolii dell'età, però, si fanno sentire. La concorrenza low cost dei turchi e dei brasiliani, per esempio, nonostante la produzione gardonese sia di ben altra qualità, è sempre più aggressiva. Qualcuno in questi anni ha dovuto alzare bandiera bianca, come la Bernardelli armi, storica azienda della zona, che nel 1997 è giunta al capolinea ed è stata rilevata dall'imprenditore turco Aral Aris. Ma le minacce arrivano anche da occidente. Il dollaro (il principale mercato di sbocco sono da sempre gli Stati Uniti) è diventato una schiavitù, con il listino prezzi che, con l'introduzione dell'euro, è rimasto bloccato da anni. Le materie prime inoltre costano sempre di più, e la burocrazia e l'immagine negativa sono mostri difficili, da affrontare quotidianamente.
Il tradizionale core business della valle, poi, vale a dire la doppietta da caccia, è in crisi costante da anni. Dal 2003 ad oggi le vendite sono crollate del 18,9 per cento, passando dal picco di 469.978 fucili del 2003 ai 381.136 del 2001. Anche se nei primi sei mesi dell'anno si segnala un certo recupero, con 208.580 pezzi venduti. Con il tempo il distretto ha tamponato l'emorragia cambiando il mix di prodotto, passando dai fucili semplici agli automatici, rafforzando la produzione di armi corte, inventandosi la produzione delle "repliche" ad avancarica, vale a dire le copie di armi storiche. Queste ultime, in particolare, hanno conosciuto un boom negli anni Novanta e una nuova giovinezza all'inizio del 2000, ma poi anche questo fenomeno è andato scemando. Complessivamente le armi italiane prodotte l'anno scorso (il dato è dedotto dal conteggio dei test del Banco di Prova di Gardone Valtrompia, ente ministeriale preposto alla prova di tutta la produzione armiera italiana) sono state 759.547, contro le 767.995 del 2001 (ma erano 944.493 nel 1994). A giugno il Banco ha testato 79.863 pezzi, 39.084 armi lunghe da caccia e sportive, 22.871 armi corte sportive e comuni, 7.160 repliche, 6.458 armi a salve. Nel confronto con il corrispondente mese dell'anno precedente, l'incremento è stato dello 0,06%. I numeri parlano chiaro: il distretto, nonostante gli sforzi negli investimenti in macchinari e in tecnologia, resta sul filo del rasoio.
«Teniamo, ma non andiamo certo a mille – sintetizza il gardonese Pierangelo Pedersoli, presidente del consorzio armaioli italiano, rappresentante di un centinaio di associati –. In questi anni abbiamo ridotto ogni margine operativo, è cambiato il mix produttivo. Dal 1992 ad oggi abbiamo conosciuto diversi cicli, caratterizzati da un boom nel 2002-2003, soprattutto per i piccoli. Da lì in poi è stato un lento declino». Il presidente degli armaioli guida una tipica azienda armiera gardonese, la Davide Pedersoli. Una pmi che in questi ultimi mesi ha scelto la via dell'internazionalizzazione in rete con altre tre aziende del territorio: Tanfoglio di Gardone, Fair di Marcheno e Sabatti, sempre di Gardone. Insieme, queste realtà hanno costruito una piattaforma comune negli Stati Uniti. Chi invece negli Usa c'è da anni è una realtà come Beretta, vero peso massimo della zona, con un fatturato consolidato di 482 milioni l'anno scorso (+7%) e 2.600 dipendenti compreso l'estero. «L'estero è una scelta obbligata, visto lo stato del mercato interno – spiega Carlo Ferlito, direttore generale del gruppo Beretta –. Rispetto a 20 anni fa il distretto è senza dubbio più aperto. Tra i clienti non ci sono più solo gli Usa, ma anche la Russia, il Sudafrica, e questi mercati non sono più appannaggio solo delle medie aziende, ma anche dei più piccoli, presenti con i loro stand nelle fiere di settore di mezzo mondo». Oltre alla capacità di radicamento su nuovi mercati, però, la competitività passa oggi anche dai nuovi prodotti. Oggi i fucili gardonesi sono molto più ricchi di tecnologia, adottano soluzioni materiche diverse, le esigenze di mimetizzazione richiedono la contaminazione con l'innesto di materiali polimerici plastici. Da questo punto di vista si è trattata di un'occasione persa per la valle visto che, come conferma Ferlito, Beretta si affida per queste produzioni a «fornitori veneti, del distretto di Montebelluna». La sfida principale del distretto resta quindi all'interno. Come confermano gli stessi operatori. «Non sono tanto gli aspetti produttivi, quanto la logistica informatica – confida Ferlito –, che rischiano di diventare un vero problema, soprattutto per un'azienda come la nostra. La mancanza della banda larga può essere un fattore critico che rischia di mettere a repentaglio Gardone. Siamo dei metalmeccanici digitali – spiega il direttore di Beretta –, la nostra azienda vive sull'esattezza del dato e sulla disponibilità immediata dei pezzi. Per non perdere produttività dobbiamo avere, per esempio, una comunicazione costante con la nostra filiale americana nell'Arkansas. Gardone ha bisogno di fibra ottica, altrimenti dovremo pensare di spostare tutto il marketing e la programmazione, cioè il cervello del gruppo, altrove». I ritardi informatici sono un'emergenza anche per i più piccoli. «Ogni giorno – spiega Pedersoli – la Questura di Brescia deve gestire dalle 700 alle mille pratiche relative alla produzione di armi ed alle esportazioni. Timbri, carta, e firme: è l'ufficio armi più importante d'Italia, gente brava e preparata, ma tutto questo non basta per accelerare le lungaggini burocratiche che rallentano la nostra efficienza. Per questo motivo, abbiamo proposto di potere dialogare, a livello informatico, da ufficio a ufficio, evitando così code e lungaggini. Stiamo aspettando una risposta».

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