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Questo articolo è stato pubblicato il 24 agosto 2012 alle ore 08:10.

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Ma le minacce arrivano anche da occidente. Il dollaro (il principale mercato di sbocco sono da sempre gli Stati Uniti) è diventato una schiavitù, con il listino prezzi che, con l'introduzione dell'euro, è rimasto bloccato da anni. Le materie prime inoltre costano sempre di più, e la burocrazia e l'immagine negativa sono mostri difficili, da affrontare quotidianamente.
Il tradizionale core business della valle, poi, vale a dire la doppietta da caccia, è in crisi costante da anni. Dal 2003 ad oggi le vendite sono crollate del 18,9 per cento, passando dal picco di 469.978 fucili del 2003 ai 381.136 del 2001. Anche se nei primi sei mesi dell'anno si segnala un certo recupero, con 208.580 pezzi venduti. Con il tempo il distretto ha tamponato l'emorragia cambiando il mix di prodotto, passando dai fucili semplici agli automatici, rafforzando la produzione di armi corte, inventandosi la produzione delle "repliche" ad avancarica, vale a dire le copie di armi storiche. Queste ultime, in particolare, hanno conosciuto un boom negli anni Novanta e una nuova giovinezza all'inizio del 2000, ma poi anche questo fenomeno è andato scemando.

Complessivamente le armi italiane prodotte l'anno scorso (il dato è dedotto dal conteggio dei test del Banco di Prova di Gardone Valtrompia, ente ministeriale preposto alla prova di tutta la produzione armiera italiana) sono state 759.547, contro le 767.995 del 2001 (ma erano 944.493 nel 1994). A giugno il Banco ha testato 79.863 pezzi, 39.084 armi lunghe da caccia e sportive, 22.871 armi corte sportive e comuni, 7.160 repliche, 6.458 armi a salve. Nel confronto con il corrispondente mese dell'anno precedente, l'incremento è stato dello 0,06%. I numeri parlano chiaro: il distretto, nonostante gli sforzi negli investimenti in macchinari e in tecnologia, resta sul filo del rasoio.
«Teniamo, ma non andiamo certo a mille – sintetizza il gardonese Pierangelo Pedersoli, presidente del consorzio armaioli italiano, rappresentante di un centinaio di associati –. In questi anni abbiamo ridotto ogni margine operativo, è cambiato il mix produttivo. Dal 1992 ad oggi abbiamo conosciuto diversi cicli, caratterizzati da un boom nel 2002-2003, soprattutto per i piccoli. Da lì in poi è stato un lento declino». Il presidente degli armaioli guida una tipica azienda armiera gardonese, la Davide Pedersoli.

Una pmi che in questi ultimi mesi ha scelto la via dell'internazionalizzazione in rete con altre tre aziende del territorio: Tanfoglio di Gardone, Fair di Marcheno e Sabatti, sempre di Gardone. Insieme, queste realtà hanno costruito una piattaforma comune negli Stati Uniti. Chi invece negli Usa c'è da anni è una realtà come Beretta, vero peso massimo della zona, con un fatturato consolidato di 482 milioni l'anno scorso (+7%) e 2.600 dipendenti compreso l'estero. «L'estero è una scelta obbligata, visto lo stato del mercato interno – spiega Carlo Ferlito, direttore generale del gruppo Beretta –. Rispetto a 20 anni fa il distretto è senza dubbio più aperto. Tra i clienti non ci sono più solo gli Usa, ma anche la Russia, il Sudafrica, e questi mercati non sono più appannaggio solo delle medie aziende, ma anche dei più piccoli, presenti con i loro stand nelle fiere di settore di mezzo mondo». Oltre alla capacità di radicamento su nuovi mercati, però, la competitività passa oggi anche dai nuovi prodotti. Oggi i fucili gardonesi sono molto più ricchi di tecnologia, adottano soluzioni materiche diverse, le esigenze di mimetizzazione richiedono la contaminazione con l'innesto di materiali polimerici plastici.

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