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Questo articolo è stato pubblicato il 28 agosto 2012 alle ore 12:33.

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I frutti del Mozambico. Inscatolamento di banane a Mafavuka (Afp)I frutti del Mozambico. Inscatolamento di banane a Mafavuka (Afp)

«Agricoltura, agricoltura e ancora agricoltura…»: è questo il messaggio con cui il presidente dell'Uganda Yoweri Museveni si è recentemente rivolto all'ambasciatore italiano a Kampala, Stefano Dejak, indicando il settore prioritario con cui il suo Paese guarda alle opportunità di collaborazione con l'Italia. E non solo il suo Paese.

Secondo un recente rapporto di McKinsey, in Africa sono localizzati i due terzi delle risorse agricole non sfruttate del mondo. Il paradosso però è che in realtà l'Africa è anche il continente con il maggior numero di persone che, secondo le statistiche delle Nazioni Unite, non dispongono del minimo necessario per nutrirsi.

Per molti Governi dei 54 Stati del continente infatti, la soluzione più facile è cogliere l'opportunità del momento affidando grandi concessioni, nell'ordine di molte decine e talvolta anche di centinaia di migliaia di ettari, agli operatori stranieri. E infatti sull'agricoltura africana stanno mettendo gli occhi in tanti, incluse le grandi trading companies cinesi, gli investitori dei Paesi del Golfo e i chaebol coreani, tutti con il dichiarato obiettivo di garantirsi un futuro in un mondo dove si comincia a parlare con troppa insistenza di possibile "crisi alimentare". Con conseguenze spesso nefaste però sul piano sociale in quanto una parte difficilmente calcolabile di queste transazioni coincidono con il fenomeno del "land grabbing", cioè dell'allontanamento degli abitanti locali dai territori su cui praticano attività agricole e di allevamento basate sull'autosussistenza.

«L'alternativa più sostenibile è far crescere un'agricoltura autoctona che però abbia caratteristiche commerciali, e sia quindi in grado di alimentare anche la popolazione delle grandi città africane. Sono più di 50 quelle con oltre un milione di abitanti», spiega Pierluigi d'Agata, direttore di Confindustria Assafrica & Mediterraneo che raggruppa aziende di settori diversi che operano in Africa e sulla sponda Sud del Mediterraneo. Nel 2011 Assafrica ha lanciato un programma specifico (Dalla Terra alla Tavola) con cui intende proporre ai Governi del continente un pacchetto completo di servizi e tecnologie per aiutarli a sviluppare le rispettive filiere agricole e agroalimentari. Sono coinvolte un'ottantina di aziende di tutte le filiere: fertilizzanti, macchine agricole, lavorazioni alimentari, logistica, catene del freddo, packaging.

Nell'Africa subsahariana, in particolare, i principali Paesi con cui ha iniziato a operare sono Angola, Sudan, Mozambico, Etiopia. Ognuno con caratteristiche in parte diverse. Il Mozambico, dove Assafrica ha partecipato a una recente missione imprenditoriale promossa da Farnesina e Confindustria, intende sviluppare la filiera dei cereali, quella saccarifera e dei biocarburanti a cui sono interessati alcuni gruppi italiani tra cui Eridania (zuccherifici) e Moncada (jatropa). «Puntiamo sull'Italia», era stato anche il messaggio del vicepremier etiope Hailemariam Desalegnin in visita a fine marzo a Roma in occasione di un evento organizzato da Unido (Nazioni Unite), Assafrica e Direzione generale per promozione Sistema Paese della Farnesina.

L'aspetto interessante è il successo inaspettato: quasi 300 incontri B2B tra operatori locali e imprese italiane. Il Paese ha recentemente varato un piano di sviluppo ambizioso che punta sulle produzioni saccarifere ma anche a valorizzare commercialmente le colture e l'attività di allevamento degli altipiani. L'Angola, dove Assafrica ha concluso un accordo con la locale associazione industriale, sta iniziando a rilanciare, tra le altre, la filiera lattiero casearia e dell'allevamento. Mentre il Sudan (Paese che sarà oggetto di un Convegno di Assafrica quest'autunno a Bologna) è una finestra anche verso il mercato alimentare dei Paesi del Golfo che infatti stanno investendo massicciamente nel settore con l'acquisizione di oltre 1,7 milioni di ettari.

Quanto all'Uganda, l'opportunità più interessante è l'introduzione da parte della Ue di un fondo di investimento con una dotazione iniziale di 15 milioni di euro, destinati a salire successivamente a 35-40, direttamente mirato a finanziare (attraverso una partecipazione al capitale con quote fino al 30%) in aziende locali di medie dimensioni, a cui sarà offerto un supporto tecnico e di consulenza nei settori tradizionali: tè, caffè, industria forestale, filiera lattiero casearia. Secondo Dejak le opportunità maggiori per le aziende italiane risiedono proprio in quest'ultima filiera con un obiettivo puntato sull'intero mercato regionale (140 milioni di consumatori) dove dominano, al momento, i prodotti sudafricani con livelli di qualità e scelta, francamente, molto limitati.

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