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Questo articolo è stato pubblicato il 27 settembre 2012 alle ore 07:43.

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Beh, le province sono ancora due, ma qualcosa è cambiato anche su questo fronte: invece di essere parte di Ascoli Piceno, Fermo è provincia per conto suo. Adesso la prospettiva, si sa, è quella di fare marcia indietro con la provincia di Ascoli-Macerata-Fermo che chissà come si chiamerà. «Purtroppo non è un buon segnale», commenta Tosi. «Proprio negli ultimi tempi avevamo stretto intese operative con la Provincia, che aveva migliorato la qualità dei servizi alle imprese. Cosa accadrà se il piano andrà in porto?». Basti aggiungere che, già nel lontano '79, gli imprenditori fermani si erano staccati da Ascoli per fondare la locale associazione industriale.
Che qui prevalga l'individualismo, lo ammettono tutti, anche Tosi e Sagripanti. È un po' il rovescio della medaglia dell'imprenditorialità diffusa. Certo, il reticolo di imprese terziste che collabora ai prodotti finali ha tenuto di fronte alle crisi e funziona benissimo. «Ma i tentativi di fondare società consortili di servizi sono perlopiù falliti», spiegano tutti in coro.

Certo, molte lavorazioni sono emigrate all'estero. Perlopiù in Romania, Bulgaria e Serbia. Ma negli ultimi tempi, anche qui, si è visto un riadattamento, con il ritorno "in patria" di alcune produzioni. Non sempre in mani italiane. I tomaifici di Monte Urano, ad esempio, sono largamente gestiti da cinesi. I quali, a quanto si dice, sui prezzi battono anche le imprese dell'Est europeo.
«Rispetto a vent'anni fa – commenta Diego Della Valle, il principe dell'imprenditoria marchigiana – il numero delle imprese è calato e la supremazia marchigiana si è appannata. Ma la rete di botteghe artigiane, di fornitori e terzisti resta straordinaria. Basterebbe inventarsi qualcos'altro di nuovo». Di che genere? «Mettere gli artigiani in condizione di vendere al dettaglio in dei mall regionali, ad esempio».

Anche l'innovazione, qui è più una virtù privata che un pubblico vizio. «La ricerca e lo sviluppo di nuovi materiali, di nuove soluzioni, è nel Dna di questa terra. L'importante è che non si fermi mai», aggiunge Della Valle. Fatto sta che, anche su questo fronte, molti hanno seguito l'esempio della sua Tod's. «Non c'è Cina che tenga», commenta Tosi con un certo ottimismo. «Neanche loro riescono a starci dietro». Anche se, ammette lui stesso, per fare innovazione ci vogliono capitali e, in generale, qualche problema di capitalizzazione le imprese ce l'hanno.
Tuttavia, come si evince da questo lungo viaggio del Sole 24 Ore, il distretto industriale fra Fermo e Macerata porta una medaglia sul petto: è riuscito nel capolavoro di mantenere serrati i ranghi nonostante la globalizzazione. Ma anche grazie alla globalizzazione: ci sono un sacco di tacchi e suole marchigiane, a calpestare il mondo.

IL RATING DEL SOLE
Il giudizio

-
Il punteggio
Attraverso una griglia di 12 variabili ciascun distretto è definito nei suoi punti di forza e di debolezza. Il distretto calzaturiero di Fermo ha uno straordinario grado di penetrazione sui mercati mondiali. Il buon livello qualitativo della forza lavoro ha facilitato la transizione dai prodotti di fascia media a quella alta.
PUNTI DI FORZA
ALTO
-1
INTERNAZIONALIZZAZIONE

Con un tasso di esportazioni che si aggira intorno all'80%, il distretto di Fermo-Macerata è il più internazionalizzato d'Italia. La capacità di raggiungere commercialmente i mercati esteri è di lunga data ed è il fattore-chiave della buona performance del distretto.
BUONO
-2
OCCUPAZIONE

Se negli ultimi 25 anni il distretto è riuscito a spostare la produzione verso le scarpe di più alta qualità è anche grazie alla disponibilità di manodopera qualificata. Rovescio della medaglia: il ricambio generazione, in certe lavorazioni, è insufficiente.
DISCRETO
-3
INNOVAZIONE

Gli investimenti in ricerca e sviluppo li sostengono ovviamente quasi solo le aziende più grandi: le Pmi hanno ancora strada da fare. Ma il grado di innovazione e la crescita del know-how sui nuovi materiali ha contribuito alla tenuta del distretto.
PUNTI DI DEBOLEZZA
1
MARKETING

Al giorno d'oggi è certamente il più veniale dei difetti: negli ultimi 20 anni, insieme al livello qualitativo dei prodotti, è cresciuto il peso dei marchi e l'attenzione che viene loro riservata. Però, in un distretto così vocato per l'export, si può ancora fare di meglio.
BASSO
-2
DIMENSIONI D'IMPRESA

Nonostante la presenza di grandi gruppi come Tod's, Prada e Gucci e di numerose medie imprese, l'occupazione media nelle aziende del distretto è di circa 20 dipendenti. Le aziende piccole hanno anche il problema di non essere sufficientemente capitalizzate.
SCARSA
-3
CAPACITÀ DI FARE RETE

La filiera produttiva che collega le grandi fabbriche a una vasta rete di terzisti funziona a meraviglia. Eppure, le iniziative collettive e consortili (che potrebbero aumentare l'efficienza e ridurre i costi) non hanno mai riscosso un grande successo, anzi.
INSUFFICIENTE
-

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