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Questo articolo è stato pubblicato il 08 ottobre 2012 alle ore 09:13.

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Una fase della stampa a getto d'inchiostroUna fase della stampa a getto d'inchiostro

Quando i produttori cinesi, una ventina d'anni fa, cominciarono a invadere con tessuti e confezioni in seta a basso costo il mercato italiano, le imprese tessili di Como si trovarono spiazzate. Il colpo fu duro, anche perché parallelamente le fibre sintetiche stavano togliendo spazio a quelle naturali. I profeti di sventura già teorizzavano il declino del distretto.

In realtà è in corso da anni una vera e propria rinascita: con i suoi 19mila addetti e un valore annuo della produzione di 2,5 miliardi, di cui 1,3 dalle esportazioni, l'industria tessile comasca, proprio grazie alla concorrenza del Dragone, sta vivendo una seconda giovinezza. Certo, le aziende hanno subito il contraccolpo dell'apertura del mercato tessile europeo alle importazioni dal Sud-Est asiatico. Pagano lo scotto di una globalizzazione asimmetrica con Paesi quali India e Brasile che, anche dopo la liberalizzazione dei confini Ue, proteggono le proprie frontiere con dazi doganali del 30 per cento. Le tradizionali stamperie seriche comasche sono passate, in quindici anni, da 200 a 60.

Però oggi la Cina, per le aziende sopravvissute a questa selezione darwiniana (la Camera di commercio di Como censisce 800 società di capitali a vocazione tessile), prima ancora che un concorrente è un partner del distretto, da cui si acquista materia prima e a cui si vende prodotto finito: tessuti stampati o tinti in filo e nobilitati. Trent'anni fa la classifica dei mercati di esportazione era statica. In cima ai Paesi acquirenti c'erano gli Usa, seguiti da Germania, Giappone, Francia e Gran Bretagna. Ora l'ordine s'è invertito. Gli Usa sono precipitati all'ultimo posto, anche se diversi clienti che si fanno consegnare il tessuto a Hong Kong sono d'origine nordamericana.

La Germania è scivolata in seconda posizione, ma all'apparenza, perché dietro certi acquirenti in Polonia, Tunisia ed Egitto continuano ad esservi confezionisti tedeschi. Al primo posto ritroviamo la Francia, al terzo la Spagna. Ma la novità principale è il quarto posto della Cina, dove il tessuto italiano ha forti potenzialità commerciali. Cinquanta milioni di cinesi ricchi, all'atto dell'acquisto, sono potenzialmente portati a scartare il prodotto dozzinale made in China e a rivolgersi alle griffe europee del lusso, abituali clienti dei tessutai comaschi. È qui che gli stilisti più esigenti e i marchi della distribuzione come Zara vengono a rifornirsi di sete, cotoni, tessuti misti e sintetici. È qui che le imprese di confezione si approvvigionano per produrre abiti da donna, sciarpe, stole, foulard, cravatte. Perché è a Como che si concentrano il massimo della creatività, dello stile e dell'innovazione estetica in fatto di tessuti. Nel passaggio dal greggio al finito i comaschi hanno una marcia in più. Ed è questo loro talento a fare la differenza con ciò che si importa da Cina, India e paesi emergenti.

Penalizzati da un costo del lavoro e da un costo dell'energia tra i più alti, non è sui grandi numeri che i produttori tessili di Como possono competere con l'Estremo Oriente. La loro forza consiste nel saper fare un tessuto di moda che interpreti il gusto e lo stile dei vari Armani, Louis Vuitton, Chanel, Prada, Dolce e Gabbana, Gucci, Valentino, e nell'offrire loro un servizio affidabile. Che significa rispetto dei tempi di produzione e consegna, del diritto di esclusiva dell'acquirente e della qualità degli ordini.

Dice Matteo Uliassi, 44 anni, vicepresidente e consigliere delegato della Achille Pinto, sede a Casnate, 55 milioni di fatturato consolidato nel 2011, oltre un milione di utile netto, 220 dipendenti, niente debiti finanziari né cassa integrazione: «I cinesi non hanno la flessibilità per produrre piccoli e medi quantitativi di tessuto d'alta gamma. Sono tarati sulle grandi tirature e mancano di idee creative. O copiano o comprano creatività in Europa. La loro concorrenza non ci fa paura. La teniamo in debito conto, ma andiamo per la nostra strada». La Pinto produce tessuti d'abbigliamento per clienti di fascia alta e medio-alta e accessori finiti che distribuisce anche con marchi propri. I suoi tessuti sono stampati all'interno. Il 70% della sua produzione va in Germania, Gran Bretagna e Francia.

Spiega Mario Cantaluppi, presidente e azionista della Successori Giuseppe Cattaneo, una produzione annua di 2 milioni di metri di tessuto greggio in seta di fascia alta: «Il mercato italiano è fermo. Andiamo bene per i nostri alti livelli di flessibilità e gli alti tassi di export. Abbiamo aumentato la produzione del 50% con un terzo degli occupati in meno». La società ha 50 dipendenti, un alto grado di automazione e ricavi stimati, a fine 2012, per 17 milioni.

L'azienda verticalizzata, che incorporava tutte le fasi di lavorazione (torcitura, tessitura, tintura, stampa, finissaggio eccetera), ha ceduto il passo a imprese di dimensioni minori, molto più agili. Il gruppo Mantero, mille addetti nel 2000, ha pressoché dimezzato il numero dei dipendenti in poco più di dieci anni e ha chiuso il 2011 con 67,2 milioni di giro d'affari e poco meno di 3 milioni di perdita. La Ratti, altro gruppo storico di Como, quotata in Borsa, è stata ceduta dal suo fondatore, Antonio Ratti, alla Marzotto, che ne possiede il controllo grazie a un patto di sindacato con Gianni Favrin. L'azienda di Guanzate, dopo alcuni esercizi in perdita, è stata ricapitalizzata dai nuovi soci e ha chiuso il 2011 con 91 milioni di fatturato, 8 milioni di margine operativo lordo e quasi 13 di utile netto. Ha 587 dipendenti e vende tessuti per abbigliamento femminile, accessori tessili per uomo e donna, tessuti per sartoria e tessuti per arredo.

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