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Questo articolo è stato pubblicato il 19 ottobre 2012 alle ore 08:28.

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Murano resiste a tutto con gli stilisti del vetroMurano resiste a tutto con gli stilisti del vetro

MURANO - A Murano, solo a Murano, il verde non è un solo colore, ma ha innumerevoli tonalità, nate da altrettante combinazioni di temperatura, minerali, tempi di lavorazione, e a loro volta differenti dai colori realizzati nella fornace a qualche centinaio di metri di distanza. Guido Ferro, classe 1942, in azienda da quando ne aveva 15, è sicuro: «Finché riusciremo in questo, a creare sempre qualcosa di nuovo, noi resisteremo. E gli altri ci verranno dietro. Il vetro è così, roba da stregoni».

Del resto è già da anni che si annuncia la scomparsa del distretto: per l'invasione delle copie a basso costo Made in China, la spesa energetica sempre in aumento, i trasporti difficili che basta la nebbia a bloccare, perfino la battaglia – ancora aperta – per quegli sgravi fiscali concessi 20 anni fa e che oggi l'Ue ha giudicato aiuti di Stato.
Nonostante tutto, il distretto – ridimensionato, cambiato, ma con caratteristiche sempre uguali a se stesse – c'è: lo incontri ovunque, nelle insegne delle vetrerie, nelle vetrine, nelle esposizioni temporanee che a ogni slargo dell'isola mettono insieme l'opera di più maestri a formare giardini popolati da conigli, gufi e altri animali, sempre in vetro. Vent'anni fa, questa era una realtà da 256 aziende per circa 2mila addetti, e un fatturato superiore ai 150 miliardi di lire, con una quota del 35% di export. Poi erano venuti gli anni Novanta, «quelli della fiammata dei grandi capitali – racconta Guido Ferro – ma è una trasformazione che ha finito per avvitarsi su se stessa, in una sorta di suicidio. Nel mercato moderno si acquistano e vendono vetri da tanti Paesi, Cina, Vietnam, altri. Ma solo qui c'è uno zoccolo duro che resiste fra tante difficoltà, che produce meno, ma che è ancora una eccellenza del Made in Italy, copiato in tutto il mondo. E quando la crisi finirà, perché tutte le crisi prima o poi passano, la Murano vetraria ripartirà». In un anno, dalla fornace Ferro escono 500 colori diversi: di qualcuno il mercato decreta il successo, altri non verranno più replicati. «Ma noi siamo come stilisti – si accalora Ferro – come musicisti: seguiamo un ritmo, componiamo, non usiamo le sette note, ma i minerali».

Un fascino che si scontra, anche, con la burocrazia: Diego Ferro – figlio di Guido, managing director dell'azienda Ferro Murano Srl e presidente appena riconfermato della sezione industrie del vetro di Confindustria Venezia – mostra l'esterno della sede, un cantiere aperto e ora fermo: «Avevamo in progetto una sala mostre, con un ampliamento dei magazzini, dei locali tecnici. Le carte sono pronte dal 2009, ma qui non basta una sola approvazione, ne servono mille, e stiamo ancora aspettando il via libera definitivo».
Ferro ha puntato sulla diversificazione: se gli oggetti tradizionali incontrano meno il gusto dei consumatori, allora la tradizione e i colori del vetro si inventano come oggetti di arredamento, danno vita a porte e controsoffitti (come quelli dell'ambasciata d'Italia a Tirana), arredano bagni e facciate, ma diventano anche oggetti di uso quotidiano come servizi di piatti. La tecnologia è entrata nell'impresa di famiglia: «Occorre pensare a nicchie nuove di mercato – spiega – e non bastano i lampadari o i cavallini a far vivere il distretto». C'è un'altra prospettiva ancora da esplorare: quella turistica. La polemica, esplosa qualche anno fa, è stata violenta: guai a convertire le vecchie fornaci, anima di Murano, in alberghi a cinque stelle, pena il rischio di snaturare completamente l'isola. «La possibilità di pernottare qui – ribatte Ferro – sarebbe un valore aggiunto enorme: parliamo di 5,5 milioni di turisti l'anno, in proporzione più di quelli che è capace di calamitare Venezia. Siamo passati da 19mila residenti a 4.500, alimentari non se ne trovano più, dopo le 18 in giro non c'è nessuno. Parliamoci chiaro: ci sono ex fabbriche che non saranno mai più riutilizzate per produrre». Il progetto del primo hotel di lusso – 150/200 addetti stimati – firmato dalla Ferrim immobiliare – attende da due anni il permesso di costruire nell'area della vecchia fornace Ferro: l'obiettivo è attirare un turismo di qualità, usando la struttura anche come vetrina della produzione locale.

Gli edifici fatiscenti, e che attendono una nuova destinazione, non mancano. Oggi le aziende industriali sono 28, e danno occupazione a circa 900 addetti, oltre alle attività artigianali, circa 250. In totale circa 1.400 addetti, 900 dei quali alle prese con la cig, ordinaria, straordinaria o in deroga. L'ultimo accordo per il premio di produzione è stato un autentico braccio di ferro, durato mesi: è finita con il riconoscimento di una somma che tiene conto dell'effettivo merito del lavoratore, con un compenso parametrato alla presenza effettiva, senza penalizzazioni in caso di ricorso alla cassa integrazione. Modifiche che tengono conto di una situazione difficile, e che con la riapertura delle aziende dopo la pausa estiva fa temere per l'avvicinarsi di dicembre, quando – dopo tre anni di crisi – potrebbero scadere alcuni ammortizzatori sociali.
Chi ha visto cambiare tutto, gioca con i ricordi: «Ai tempi dei nostri genitori si consegnavano i prodotti a sei mesi, non ci si muoveva da qui, i clienti arrivavano e li si faceva aspettare – racconta Piero Nason, della NasonMoretti Srl – Le aziende che hanno chiuso si sono trasformate in una perdita secca di occupazione, e di intere lavorazioni. Il soffiato da illuminazione, ad esempio, non si trova più, per problemi di costi, di concorrenza». Nason per la sua azienda, creata nel 1992, ha scelto la specializzazione. Produce bicchieri e calici, di ogni forma e colore: 22 tonalità di verde, otto di blu, una "rivoluzione cromatica" perché oggi il vetro trasparente è poco richiesto, e vale meno del 10% della produzione. «Il cliente privilegiato è il negozio di regalistica, di alto livello, ma arrivano anche ordini per servizi destinati a case di primi ministri e personalità varie. Il 70% della produzione resta in Italia, il resto prende la strada di Usa, Nord Europa, Francia, mentre il Giappone in crisi è quasi scomparso. I clienti vanno cercati, raggiunti, anche tramite la partecipazione alle diverse fiere».

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