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Questo articolo è stato pubblicato il 25 ottobre 2012 alle ore 08:22.

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Le cucine di Pesaro alla sfida dei mercatiLe cucine di Pesaro alla sfida dei mercati

Delicata la situazione della Berloni. Accanto al mobile da cucina, il gruppo aveva diversificato nell'arredamento per il giorno e la notte, con una struttura produttiva di tipo verticale. In sostanza, realizzava tutto al proprio interno. Il contrario del modello Scavolini. Cinque anni fa era arrivato a fatturare 100 milioni con oltre 400 dipendenti. L'operazione, però, non ha funzionato. La famiglia è stata costretta a dichiarare lo stato di crisi. Dopo cessioni ed esternalizzazioni di attività, oggi i ricavi si sono più che dimezzati, anche se un quarto proviene dall'estero. I sindacati sono in allarme. Dichiara Marcello Berloni, l'amministratore delegato: «Il nostro obiettivo è salvare l'azienda e i dipendenti che potranno rimanere. Non vorrei sbagliarmi, ma penso che il sistema-Paese non creda più nella piccola e media impresa, il cui principale difetto è quello di essere umana e riconoscente verso le proprie maestranze, i propri fornitori e i propri clienti, soprattutto quando hanno bisogno».
Di questi tempi va bene chi ha puntato sui mercati internazionali. Scavolini, in piena crisi, ha speso fior di milioni per aprire un negozio di bandiera nel cuore di New York, il primo punto vendita diretto. E ha acquisito la licenza per commercializzare una cucina di sua produzione ma con il marchio della Diesel, l'azienda vicentina di moda casual per i giovani conosciuta in tutto il mondo. L'obiettivo è aumentare le esportazioni al 30%, rafforzarsi in Russia e negli Usa, espandersi in nuovi mercati per compensare il calo del fatturato in Italia e mantenere un discreto livello di profitti.

La Aster, costituita nel 1968 dalla famiglia Del Prete, è una decima parte della Scavolini, fattura 20 milioni con 60 dipendenti, ma chiude il bilancio in utile e riesce a creare cassa grazie all'85% dei ricavi proveniente dalle esportazioni. Dice Mirko Del Prete, l'amministratore delegato, figlio del fondatore: «Vendiamo soprattutto nell'ex Urss, dall'Ucraina alla Russia, dalla Bielorussia ai Paesi Baltici, dalla Georgia al Kazakhstan. Siamo tra i primi esportatori di cucine in Russia e stiamo crescendo in Paesi come la Francia. L'obiettivo è un fatturato di 30 milioni che ci dia le dimensioni per competere e per disporre di budget di comunicazione adeguati. Per avere una certa visibilità, bisogna spendere solo per l'Italia 200-300mila euro l'anno in pubblicità».
I Del Prete stanno tenendo duro anche nella produzione di prefabbricati in legno per cucine, dove operano con una società ad alto tasso di automazione. L'azienda occupa 20 dipendenti e fattura 10 milioni, di cui il 40% con progetti di contract (grandi ordini acquisiti da costruttori di immobili, soprattutto esteri).

I casi singoli, però, si contrappongono a un quadro d'insieme meno confortante: nel 2011 il settore legno-arredo della provincia di Pesaro ha registrato un aumento delle esportazioni dello 0,8% rispetto all'anno precedente, contro una media regionale del +9,3 per cento. Stefano Porcellini, direttore generale e consigliere esecutivo della Biesse, non usa mezzi termini: «L'export è l'unica ciambella di salvataggio contro la crisi. Chi lavora solo in Italia è vicino al collasso». Qualche azienda ha trovato la soluzione mettendosi a produrre per le catene commerciali. Una di queste è la Marinelli, fornitrice di Mondo Convenienza. Il rischio, in questo caso, è di trovarsi legati mani e piedi a un unico cliente in una fase in cui anche la grande distribuzione accusa un calo di vendite.

Aggiunge Porcellini: «Le imprese del mobile investono sempre meno in macchinari. Nel 2012 le vendite della Biesse in Italia si sono dimezzate a 20 milioni. Nel periodo d'oro, il 2006-2007, facevamo 60-70 milioni. Nel nostro Paese non s'investe più nei processi di trasformazione. Il colpo di grazia l'ha dato la stretta creditizia. Una nostra macchina singola costa 150-200mila euro; un'intera linea di lavorazione può arrivare fino a 12 milioni. Ma in Italia non si vendono più linee di lavorazione complete». Oggi i migliori clienti della Biesse sono società come la svedese Ikea, come l'inglese Howdens, quotata alla Borsa di Londra; Paesi come il Brasile, la Cina, la Francia, la Germania. Gli operatori internazionali del mobile investono in linee flessibili per produrre in tempo reale arredamento personalizzato. Le aziende italiane continuano a scommettere sul design, sul fattore estetico, «ma con processi di produzione obsoleti», conclude Porcellini.

C'è poi il problema della transizione generazionale. Quelli pesaresi sono imprenditori di prima generazione. Le seconde generazioni sono in azienda, ma in diversi casi le leve del comando sono ancora più o meno saldamente in mano ai fondatori. Il passaggio di testimone si preannuncia dunque come un banco di prova per il distretto. Non solo perché avviene in tempi di crisi, ma anche perché coinvolge i marchi storici dell'arredamento italiano da cucina.

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