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Questo articolo è stato pubblicato il 29 ottobre 2012 alle ore 06:45.

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I professionisti e i costruttori interessati alla riqualificazione del patrimonio edilizio hanno oggi a disposizione un set di strumenti che si è stratificato nel corso degli anni, ma devono fare i conti con almeno tre difficoltà di fondo.
Partiamo dagli strumenti. La riqualificazione del patrimonio edilizio esistente è sempre stata perseguita dal legislatore nazionale mediante strumenti specifici:
- piani di ricostruzione del dopoguerra (Dlgs 154/45 e legge 1402/51);
- piano di recupero di prima generazione (articoli 27 e seguenti della legge 457/71978);
- varianti per il recupero urbanistico degli insediamenti abusivi (articolo 29, legge 47/71985).
A questi, si sono poi aggiunti strumenti di riqualificazione più evoluti e modificativi della strumentazione urbanistica:
- programmi di recupero urbano, Pru, previsti dall'articolo 11 del Dl 398/1993;
- programmi di riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile del territorio, Prusst, previsti dal Dm Lavori pubblici 1169/1998;
- programmi integrati di intervento, Pii, originati dalla 457/ 1978 e previsti dall'articolo 16 della legge 179/1992;
- programmi integrati di promozione di edilizia residenziale anche sociale e di riqualificazione urbana, Piper, previsti dall'articolo 11 del Dl 112/2008;
- primo e secondo piano casa in deroga (nati dalla Conferenza unificata del 1º aprile 2009);
- piano nazionale per le città (Dl 83/2012).
L'elencazione delle misure di riqualificazione ricalca lo stesso sviluppo dell'urbanistica italiana: dapprima tesa a ricucire le ferite del periodo bellico e di uno sviluppo economico scoordinato, poi impegnata a fronteggiare l'abusivismo edilizio figlio della mancata attuazione dei principi dettati dalla legge urbanistica nazionale del 1942, quindi attenta ad accelerare i tempi di approvazione dei progetti di recupero mediante procedure in variante e in deroga alla disciplina ordinaria rivelatasi impeditiva e, infine, tesa ad agevolare mediante specifici incentivi finanziari il recupero edilizio e la stessa ripresa dell'economia del Paese.
Se si aggiunge che questi strumenti sono stati variamente declinati dalle Regioni, che vi hanno anche aggiunto ulteriori misure di deroga ai piani regolatori, quali la disciplina per il recupero per lo più a uso abitativo dei sottotetti, si ottiene un quadro composito, che si è scontrato con almeno tre criticità.
e Il primo fattore problematico è l'incerto confine tra la competenza statale e quella delle Regioni nel disciplinare l'urbanistica o, come si dice ora dopo la riforma del titolo V della Costituzione del 2001 (legge costituzionale n. 3, ora oggetto di un ripensamento complessivo), il governo del territorio. Fin da prima, il problema si è posto prepotentemente in materia con la sentenza della Consulta 393/1992, che ha annullato la disciplina dei programmi integrati di intervento (e in particolare della loro procedura approvativa anche in variante al Prg) proprio perché lesiva delle potestà regionali in materia. Da ultimo si può ricordare la decisione della Consulta 121/2010 che ha annullato i Piper per le medesime ragioni.
r La seconda criticità può essere individuata nella complessità, oltre che della normativa edilizia di legge statale e regionale, della disciplina urbanistica comunale: i piani regolatori sono spesso inutilmente complicati, soggetti al mutevole indirizzo politico e all'ondivaga interpretazione dei funzionari.
t Il terzo ostacolo è composito e riconducibile alla sostenibilità economico-finanziaria degli interventi di recupero. Riqualificare costa più che costruire ex novo per cui servono sostegni finanziari (anche per la bonifica delle aree industriali contaminate da riconvertire) e agevolazioni tributarie da riconoscersi a tutti gli strumenti del recupero e della riqualificazione urbana, superando la possibile ed erronea interpretazione della legge 168/1982 che riferisce l'agevolazione della tassazione in misura fissa alla sola forma del piano di recupero (ex articolo 27, legge 457/1978) esistenti nel 1982.
La presentazione alla cabina di regia di oltre 400 domande per l'accesso ai fondi del Piano città è emblematica della necessità di sussidi per il recupero del patrimonio edilizio.
Nonostante questi ostacoli la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente continua a essere una necessità ed è anzi divenuta un imperativo categorico, specie per fronteggiare il fenomeno del consumo del suolo ora oggetto di particolare attenzione governativa mediante l'adozione del disegno di legge che persegue la finalità di valorizzare i terreni aventi destinazione agricola al fine di impedire che il suolo venga consumato dall'urbanizzazione.

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