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Questo articolo è stato pubblicato il 08 novembre 2012 alle ore 06:44.
REGGIO EMILIA. Dal nostro inviato
Cento chilometri di eccellenza, una linea retta che solca l'Emilia e la crisi e sbocca nel baricentro bolognese per dimostrare ai mercati globali che si può essere leader anche in piena recessione, anche in un sistema-Paese come l'Italia, anche (e soprattutto) nel mezzo di una filiera a corto raggio e con costi superiori ai competitor. Il distretto delle macchine per l'imballaggio bolognese è un unicum che sbalordisce nella cronaca economica dell'ultimo lustro: non un operatore, grande o piccolo che sia, che si lamenti o che preveda quest'anno dinamiche di fatturato in calo, avendo tutti già superato di misura i valori pre-crisi con quote export oltre il 90% dei volumi; la disoccupazione non esiste; i tentativi di imitazione cinese fanno sorridere e la competizione tedesca, l'unica davvero temuta, è finora sempre stata contenuta a suon di innovazione e flessibilità.
In questo distretto che ha il cuore a Bologna e articolazioni tra Modena, Reggio e Parma, una recente ricerca della Fondazione Edison calcola si concentri un business da 3,1 miliardi con 170 imprese e 13mila addetti. Restringendo il fuoco sul fulcro bolognese i numeri scendono a 134 aziende, 11mila addetti e 2,4 miliardi di fatturato, ovvero il 60% dell'industria nazionale delle macchine automatiche rappresentata da Ucima. Un cluster che batte il diretto concorrente del Baden Württemberg per dimensioni, con i primi quattro big player (Coesia, Sacmi, Ima e Marchesini Group) che insieme valgono il 50% in più dei primi 4 big tedeschi. Qui, nella valle del packaging, si costruiscono apparecchi che dosano e impacchettano sigarette, medicine, saponi, cosmetici, bibite, alimenti, mobili...tutto ciò che ogni giorno passa tra le nostre mani con una confezione rigida o flessibile attorno.
Una diversificazione produttiva legata a settori-clienti anticiclici come alimentare e farmaceutica, accompagnata da costanti investimenti in innovazione (in media il 5% dei ricavi è per R&S) che spiega il perché questo distretto si prepari a chiudere un altro bilancio in crescita di almeno 5 punti percentuali «e con un portafoglio ordini pieno, dunque con buone prospettive anche per la prima metà del 2013, avendo noi cicli produttivi lunghi, dai 6 ai 9 mesi», anticipa Maurizio Marchesini, che oltre a essere il presidente di Confindustria Emilia-Romagna è vicepresidente Ucima e ad dell'omonimo gruppo bolognese, fondato dal padre Massimo nel 1974 nel garage di casa, dove realizzò la prima macchina astucciatrice. Gli ultimi dati del Monitor Intesa Sanpaolo confermano un incremento del 6% dell'export nella prima metà del 2012 per un cluster secondo solo alle piastrelle di Sassuolo per presenza sui mercati globali (quest'anno supererà i 2 miliardi di euro contro i 2,4 della ceramica modenese).
Rispetto a vent'anni fa sono raddoppiati i fatturati della packaging valley ma non è cambiata la centralità della filiera di fornitura, vero asset strategico di questa nicchia manifatturiera, dove i terzisti specializzati – oltre 300 artigiani solo nel Bolognese – riescono a coprire tutte le fasi di lavorazione dei committenti. Così come non è una novità la vocazione internazionale, le cui radici affondano ai primi anni Ottanta. «È sicuramente cambiata, però, la geografia dei mercati, con un'Europa che pesa sempre meno, anche se arrivano segnali di ripresa, e Paesi come Bangladesh, Argentina, Kazakistan che si stanno facendo largo tra la Cina, cliente numero uno del distretto, e Usa», precisa Marchesini, alla guida del gruppo familiare con headquarter a Pianoro. Un borgo dell'Appennino bolognese da cui dipendono 800 dipendenti in Italia (dove è concentrata la produzione), altri 200 oltreconfine, un giro d'affari da 188,5 milioni e oltre 9mila linee installate nel mondo, di cui l'85% nel farmaceutico (con clienti come Novartis, Sanofi Aventis a Pfizer).
Al di là delle apparenze mastodontiche, i macchinari per l'imballaggio made in Bologna sono "creature" sartoriali, tagliate a misura del cliente, che sia il rossetto L'Oréal, il blister Pfizer o la scatola Nestlé. «La flessibilità è il nostro valore aggiunto ed è il risultato – prosegue il numero uno degli industriali emiliani – dell'efficientissima rete di servizio del distretto, dai software di progettazione all'assemblaggio finale. Qui basta una buona idea per iniziare l'attività, c'è tutto a disposizione, le barriere all'ingresso sono ridotte. Anche se oggi scontiamo il fatto di non poter più giocare sulla benefica svalutazione della lira per scaricare i maggiori costi per unità di prodotto, rispetto ai competitors tedeschi». E non è solo una questione di sistema-Paese a causare il gap: le macchine emiliane, che per qualità non hanno nulla da invidiare a quelle germaniche (e le superano per design e flessibilità) da sempre devono proporsi sul mercato a un euro in meno per il preconcetto che la meccanica tedesca sia più perfetta della nostra.
«Il nostro vero handicap, però, resta il contesto penalizzante, e non parlo solo di fisco o burocrazia ma degli investimenti infrastrutturali rimasti fermi negli ultimi vent'anni mentre il distretto cresceva», afferma Alberto Vacchi, numero uno di Ima (Industria macchine automatiche), prima industria del settore a quotarsi in Borsa, era il 1995, per finanziare l'espansione e managerializzare l'azienda, anche se il 66,2% delle quote resta tutt'oggi in mano alla famiglia. Con oltre mezzo secolo di storia alle spalle puntellato di acquisizioni e brevetti, 3.400 dipendenti (1.500 all'estero) tra la sede di Ozzano, i 22 stabilimenti produttivi e le 16 filiali commerciali dal Brasile alla Cina, Ima si prepara a superare quest'anno i 700 milioni di fatturato (il 91% è export), avendo chiuso i primi sei mesi (il 14 novembre sarà diffusa la terza trimestrale) con un exploit del +20,7% , «e con buone prospettive anche per il 2013», dichiara Vacchi. Nella packaging valley non ci sono disoccupati, «anzi, la manodopera specializzata è un tesoro da tenersi stretto, anche perché la formazione tecnica ha perso appeal negli ultimi anni e rischiamo di trovarci senza profili tecnici adeguati se non investiamo su un miglior collegamento tra aziende, istituti tecnici e percorsi universitari: Bologna sforna 100 ingegneri gestionali l'anno ma appena dieci ingegneri dell'automazione», prosegue il presidente e ad di Ima, che controlla il 70% del mercato globale delle macchine per il confezionamento del tè, da Twinings a Lipton.