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Questo articolo è stato pubblicato il 12 novembre 2012 alle ore 09:02.

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«La crisi di un settore può servire a farlo ripartire su nuove basi». Per avere la prova che non si tratta di una frase-fatta basta venire a Pistoia, città da 150 anni dedita alla produzione di piante (all'origine negli orti dentro le mura, oggi nella valle del fiume Ombrone) diventata ormai da tempo capitale indiscussa del vivaismo ornamentale italiano ed europeo.

Qui la micidiale ondata di gelo del 1985 distrusse gran parte dei 4mila ettari di coltivazioni di piante da esterno e sembrò decretare la fine di un settore già all'epoca trainante per l'economia provinciale. Ma non è andata così.

«La gelata del 1985 è stata, in realtà, la fortuna del vivaismo pistoiese – spiega Renato Ferretti, grande esperto del settore e coordinatore tecnico del distretto vivaistico di Pistoia, costituito formalmente nel 2005 per favorire lo sviluppo del territorio – perché a seguito di quell'evento i vivai si sono rinnovati e specializzati: sono state eliminate le coltivazioni promiscue, fatte di piante di tipo diverso nello stesso appezzamento o nella stessa fila, ci si è riorganizzati e si è ripartiti più forti di prima».

Da allora, la marcia non si è mai fermata. Il vivaismo ha continuato a crescere - in controtendenza rispetto alla floricoltura concentrata nella vicina Pescia, immersa da anni in una crisi strutturale che ormai appare irreversibile – guadagnando nuovi terreni da coltivare, anche fuori dalla provincia pistoiese (in quelle di Prato, Lucca e Grosseto); nuove varietà da mettere a coltura, accanto alle tradizionali magnolia, cipresso, olivo, photinia red tobin, bosso, ligustro con cui si realizza l'arte topiaria; nuovi mercati da servire, capaci di compensare il calo di quello italiano e in particolare della domanda pubblica sempre più debole.

«Abbiamo investito sulla qualità – spiega Vannino Vannucci, presidente del distretto vivaistico pistoiese, che ha fatto incetta di premi alle esposizioni internazionali degli ultimi anni – e oggi siamo in grado di offrire piante quasi uniche che, grazie alle caratteristiche del nostro terreno, hanno un apparato radicale così ben sviluppato da poter attecchire in ogni parte del mondo». Il risultato – aggiunge Vannucci, titolare della più grande azienda europea del settore, la Vannucci Piante, 500 ettari coltivati, 300 dipendenti e un export pari al 97% - è che il mercato estero si è allargato: ormai il vivaismo pistoiese esporta in più di 50 Paesi, che assorbono oltre l'80% della produzione. E in 20 anni è diventato il terzo pilastro dell'export agroalimentare toscano, dopo il vino e l'olio extravergine.

È grazie al traino dell'export, dunque, che il distretto ha superato praticamente indenne anche gli ultimi cinque anni. È un fatto che, nell'ultimo lustro, qui non si segnalino chiusure aziendali di rilievo, né ricorso agli ammortizzatori sociali o esuberi da gestire: anzi, finora c'è sempre stato spazio per chi ha cercato lavoro nei campi, dove abbonda la manodopera albanese e rumena.

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