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Questo articolo è stato pubblicato il 26 novembre 2012 alle ore 14:55.

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Si chiama export la terapia anticrisi per le imprese del vino italiano. Mentre l'asticella dei consumi interni di vino ogni anno fa segnare un nuovo minimo (nel 2012 si fermerà a quota 37 litri pro capite contro gli oltre 100 degli anni Settanta) aumentano invece quelli internazionali. Tutti i principali mercati di sbocco hanno infatti fatto registrare negli ultimi mesi un progresso negli acquisti di vino e nuove mete si affacciano all'orizzonte. Tuttavia però le imprese italiane per continuare a recitare un ruolo da protagoniste sui mercati internazionali e rintuzzare la crescente pressione concorrenziale devono rafforzare le proprie posizioni.
È questo il quadro emerso dal Terzo Forum sul vino italiano di Banca Monte dei Paschi di Siena

Una congiuntura difficile
La produzione mondiale di vino nel 2012 si attesterà ai minimi. Secondo le stime dell'Organisation internationale de la vigne et du vin (Oiv) dovrebbe infatti fermarsi a quota 250 milioni di ettolitri. Scarso il contributo anche dell'Italia che, a causa delle difficili condizioni meteo dei mesi estivi, ha visto la vendemmia 2012 fermarsi sotto i 40 milioni di ettolitri facendo registrare uno dei valori più bassi degli ultimi 60 anni. Così già a partire da settembre, appena ha cominciato a profilarsi una scarsità d'offerta, i prezzi hanno spiccato il volo facendo registrare in Italia quotazioni che secondo Ismea risultano anche del 40% superiori allo scorso anno.

Cresce la pressione concorrenziale e il "low cost"
In un quadro che vede limitati margini di manovra sul fronte dei prezzi aumenta però la pressione concorrenziale. E l'Italia rischia di cedere lo scettro di principale fornitore mondiale alla Spagna le cui vendite all'estero nel 2011 sono cresciute del 21% (contro il +9% dell'Italia). L'Italia è inoltre penalizzata anche dalla crescita del vino "low cost". Ovvero le spedizioni di prodotto "sfuso" (nelle quali l'offerta spagnola è maggiore di quella made in Italy) che hanno ormai raggiunto una quota del 40% del commercio internazionale contro il 37% di appena cinque anni fa.

Più forza ai nuovi mercati
Le contromisure delle imprese del vino italiano partono dai nuovi mercati. Fra i principali acquirenti internazionali di vino alle spalle di Usa, Germania. Regno Unito e Canada va sottolineato il ruolo della Cina i cui acquisti di bottiglie da tutto il mondo hanno ormai superato la quota un miliardo di euro e sopravanzando paesi come Giappone, Belgio, Svizzera e Paesi Bassi. Ma oltre al gigante cinese nuovi protagonisti si affacciano all'orizzonte. In particolare – secondo l'Ossevatorio sul vino di Banca Monte dei Paschi di Siena – non vanno sottovalutati i paesi dell'Est europeo e quelli sudamericani con in testa Brasile ed Argentina. Tutte aree che in un prossimo futuro saranno in grado di recitare un ruolo da protagonisti.

Non mancano però gli ostacoli
Come sottolineato dal sondaggio svolto dall'Osservatorio di Banca Mps, per rafforzare la posizione competitiva delle imprese del vino made in Italy vanno sciolti alcuni nodi. In primo luogo la difficoltà di individuare importatori affidabili, il rischio di insolvenze e le accise sull'import particolarmente elevate in alcuni paesi come quelli del Nord Europa.
Il vino va alla "campagna di Cina"
E proprio nell'ottica di rafforzare le posizioni internazionali e aprire nuovi spazi per l'export di vino made in Italy che, guidata dal ministro per lo Sviluppo economico Corrado Passera e coadiuvata dal presidente di Federvini, Lamberto Vallarino Gancia e di quello dell'Istituto per il Commercio Estero, Riccardo Monti, è partita alla volta di Pechino una delegazione di imprese italiane. «Un progetto – ha spiegato il presidente di Federvini, Lamberto Vallarino Gancia – che punta a far conoscere il legame fra i nostri vini e territori d'origine e favorire l'abbinamento fra i vini italiani e la cucina cinese. Ma non solo. La nostra spedizione punterà anche ad aprire un dialogo con le autorità cinesi per ridurre gli ostacoli burocratici che spesso frenano il flusso delle nostre spedizioni in quel paese».

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