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Questo articolo è stato pubblicato il 30 novembre 2012 alle ore 06:43.

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La valle della gomma vince con la filieraLa valle della gomma vince con la filiera

Nel raggio di pochi chilometri si trova tutto ciò che serve. Negli anni la filiera si è allungata e l'attività si è sviluppata in modo eterogeneo, sia per i prodotti che per le tecnologie utilizzate. Oggi comprende anche aziende costruttrici di macchinari per la produzione di guarnizioni.
La forza catalizzatrice della filiera non ha impedito comunque alle imprese di internazionalizzarsi, anche dal punto di vista produttivo. Le aziende più importanti (non più di una decina superano i 50 milioni di euro di fatturato e fanno da traino per tutte le altre) hanno aperto o stanno progettando di aprire in Romania, in Spagna, in Asia, in Brasile e anche negli Stati Uniti.
Anche se lo spartiacque tra delocalizzazione e internazionalizzazione produttiva è spesso discutibile, l'avvio di produzioni all'estero da parte delle imprese più importanti non ha compromesso né la capacità produttiva né l'occupazione del distretto. Il numero di società di capitali nel settore gomma-plastica tra il 2001 e il 2009 è cresciuto di oltre il 10% così come è aumentato il numero delle persone occupate nel settore (+7,4%). E questo nonostante la forte e inattesa frenata del 2009 che ha colpito in modo pesante le vendite. Poi la ripresa nel 2010 e nella prima parte del 2011 ha riportato le vendite ai livelli record degli anni precedenti la crisi. Nel solo 2011 l'export del distretto è aumentato di oltre il 12% rispetto al 2010. Quest'anno il rallentamento si sente di nuovo e si legge sia nei dati sull'export (-3,1% nel secondo trimestre e -1,1% nei primi sei mesi, dal Monitor dei distretti di Intesa SanPaolo) sia nell'utilizzo della cassa integrazione: nei primi otto mesi del 2012 l'incremento è stato superiore al 50 per cento.

«Gli ordini sono in calo del 10-20% in tutto il mondo» spiega Vittorio Calissi, managing director e socio con una piccola quota dei fratelli Bruno e Sergio Gervasoni che a metà degli anni 90 hanno rilevato per una decina di miliardi di lire la Colombo. «Anche la Germania che è il primo mercato di sbocco del distretto sta rallentando. In questa fase solo il mercato statunitense sembra ancora trainante». E tutti guardano al 2013 con tanta incertezza, anche se per ora sono in molti a beneficiare del calo dei prezzi delle materie prime, grazie al quale è possibile recuperare i margini che nei due anni precedenti si erano assottigliati.
«Non ci sono situazioni di crisi conclamata - spiega Galizzi - ma accanto a chi ha tanti ordini da dover lavorare anche il sabato, c'è chi fa un giorno di cassa alla settimana e chiude il venerdì».
Le aziende che si sono strutturate meglio in questo momento riescono ad affrontare con più sicurezza i mercati globali. Hanno organizzato il proprio ciclo produttivo partendo dalle esigenze del mercato, hanno investito in ricerca&sviluppo e lavorano fianco a fianco con il cliente sin dalla fase progettuale per "customizzare" i prodotti con l'obiettivo della qualità anche in termini di servizio. In genere non hanno catalogo ma lavorano solo su commesse dettagliate in base alle richieste specifiche di ogni cliente. Ora possono guardare al futuro con minori preoccupazioni. «È stata un'evoluzione inevitabile - spiega Bellini - per un prodotto di tenuta come le guarnizioni che ha una durata media di almeno sette anni: solo il tempo può dimostrare se è di qualità. È un componente assolutamente critico in qualsiasi tipo di manifattura. Perciò contano moltissimo le referenze. E quando acquisisci un cliente, se sei bravo e affidabile riesci a tenerlo per sempre».

La sfida, secondo Galizzi, si vince «sull'innovazione tecnologica di processo» per rispondere alle richieste del cliente «al prezzo più basso possibile ma con la qualità più alta possibile. Quando si lavora con una tolleranza di 15 pezzi difettosi su un milione, la qualità è il prerequisito e il prezzo resta la parte negoziale».
Le imprese che invece sono rimaste legate al catalogo standard, puntando principalmente sul prezzo, sono inevitabilmente meno protette rispetto alla concorrenza "low cost" che arriva dai paesi emergenti. Come sempre, sono le realtà più piccole e meno strutturate a correre i rischi maggiori. E in prospettiva il timore, sottolineano in molti, è che nel giro di qualche anno il giocattolo si rompa: se la filiera di spezza, addio distretto e addio leadership.

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