Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 13 dicembre 2012 alle ore 06:43.

My24


LEGNAGO (VR). Dal nostro inviato
«Li collaudiamo tutti, mica possiamo permetterci difetti». Nell'impianto Riello di Legnago il direttore di produzione ci indica l'oblò lungo la linea di montaggio, dove la fiamma si vede appena. Il bruciatore passa il test e finisce all'imballaggio, pronto per la spedizione in tutto il mondo, «ora il 60% delle nostre vendite finisce all'estero e il 40% in Italia – spiega il presidente Ettore Riello – mentre prima era il contrario». La metamorfosi del gruppo, forte di 532 milioni di ricavi nel 2011 con un calo marginale previsto quest'anno, è in fondo ciò che è accaduto all'intero distretto della termomeccanica veronese, costretto a spingersi oltreconfine per sopravvivere alla frenata progressiva del mercato interno. Il caldo e il freddo sono la ricchezza del territorio, con 142 aziende impegnate a produrre caldaie, bruciatori, termosifoni, attrezzature per ventilazione e refrigerazione, motori e componenti correlate. E se in dieci anni l'area ha perso quasi una trentina di imprese, chi ha resistito ha saputo crescere conquistando nuovi mercati, come dimostrano le esportazioni, più che raddoppiate dal 2002 a 1,2 miliardi di euro, come segnala il monitor distretti di Intesa Sanpaolo. «L'Italia è molto sofferente – chiarisce Riello – l'estero va un poco meglio ma a macchia di leopardo». Gli ultimi numeri del distretto, infatti, vedono anche per l'export un 2012 difficile, con un calo semestrale del 3,2 percento. Ma rispetto all'abisso italiano c'è da festeggiare, perché gli ultimi numeri di Assotermica vedono per il Paese un crollo dei volumi del 15 percento. «Da un lato l'edilizia è un dramma – spiega il presidente di Assotermica Paola Ferroli –, dall'altro il nostro settore paga pesantemente la crisi dei consumi». Ferroli è l'altro colosso del distretto, con previsioni 2012 di 525 milioni di ricavi (+2/3%) con 3.200 addetti, un terzo in Italia e gli altri sparsi negli stabilimenti in Cina, Spagna, Polonia e Turchia. «Percorso iniziato anni fa – spiega Paola Ferroli, direttore marketing del gruppo - ma certo ora per le aziende esportare non è più un'opzione ma un obbligo». Esportare ma anche produrre direttamente all'estero, dove alla più agevole fornitura dei mercati locali si aggiunge il vantaggio di oneri inferiori rispetto all'Italia. «In Turchia tutti i concorrenti tedeschi hanno una produzione diretta di caldaie, noi per ora la serviamo da qui ma è chiaro che considerando i costi dell'energia e della manodopera, in Italia si deve razionalizzare l'attività». «E del resto – aggiunge Ettore Riello, che ha stabilimenti produttivi anche in Polonia e Cina – qui un operaio costa 28mila euro, a Varsavia 7mila, a Pechino 3mila, il problema del costo del lavoro è drammatico». Per il distretto non è però l'unico nodo, e forse neppure il principale. Alle aziende locali le scelte nazionali sulla politica energetica non hanno certo fatto piacere, in primis nella decisione di puntare sul fotovoltaico come fonte principale su cui orientare risorse, attenzioni e incentivi. «Trovo devastante – scandisce Riello – la pochezza della politica energetica del nostro Paese, dipendiamo troppo dall'estero, non puntiamo sul risparmio energetico, non facciamo nulla per cambiare ed efficientare il parco caldaie esistente. Nella ricerca ad esempio spendiamo il 3-4% dei ricavi ma è difficile decidere dove puntare se la politica cambia sempre idea. Ecco, noi siamo bravissimi nell'adattamento delle tecnologie e nella customizzazione dei prodotti, ma quando si parla di piani a lungo termine e di politica industriale siamo indietro anni luce». «Se ci fosse una politica nuova sulle ristrutturazioni – aggiunge Paola Ferroli – i consumi potrebbero scendere nelle case anche del 30%, puntare solo sul fotovoltaico ha fatto grandissimi danni». In realtà gli incentivi sono arrivati anche per alcuni comparti della Termomeccanica, come ad esempio le caldaie a condensazione, ma i meccanismi studiati, secondo gli operatori, non hanno facilitato la diffusione del fenomeno. «Nelle grandi città – spiega Paola Ferroli – le canne fumarie non sempre consentono queste installazioni, si dovrebbero attivare alcune deroghe per rendere realmente efficace lo strumento». «Gli sgravi aiutano – aggiunge Riello – ma servirebbe un ricambio massiccio del parco installato, perché gli ultimi studi dimostrano che solo il 10% degli impianti è davvero a norma». Ma anche a fronte di una politica disattenta, di oneri di sistema rilevanti e di una fiscalità non certo di vantaggio, il distretto resiste, conquista commesse estere, offre lavoro a quasi 6mila addetti e sviluppa due miliardi di ricavi. «Dopo il crollo del 2009 – spiega il responsabile della ricerca industry di Intesa Sanpaolo Fabrizio Guelpa – il fatturato ha mostrato un rimbalzo nei due anni successivi, tornando vicino ai livelli mediani del 2008. La redditività è invece scesa, con un Ebitda arrivato al 7,2% dall'8,6% del 2008. Le imprese hanno dunque cercato di mantenere la quota di mercato sacrificando i margini e spingendosi sempre più all'estero, anche se qui il peso dei nuovi mercati resta ancora contenuto». Il distretto paga anche altre aree di difficoltà, tra cui spicca la crescita dell'indebitamento, con il rapporto tra debito e patrimonio quasi raddoppiato da 1,06 a 1,76 tra 2005 e 2010. Debolezza che si accompagna a una chiara segmentazione tra imprese: "big" che si contano sulle dita di una mano, con Riello e Ferroli a valere da sole il 40% dei ricavi del distretto a fronte di decine di microimprese, tra cui ben 101 aziende con meno di dieci addetti. Chi ha dimensioni adeguate ha capito per tempo che automazione e innovazione sono le armi principali per resistere e rimanere competitivi. Sul fronte dei prodotti gli sviluppi riguardano caldaie a condensazione sempre più efficienti, pompe di calore, utilizzo integrato di più fonti per arrivare a sviluppare tecnologie ibride, inserimento progressivo dell'elettronica per gestire gli apparati, spostando progressivamente l'attenzione nel campo della domotica. Dal punto di vista dei processi c'è invece una sempre maggior attenzione all'automazione, con un inserimento massiccio di robot in fabbrica per migliorare la produttività. Nell'impianto Riello, ad esempio, le linee di montaggio dei bruciatori sono 12, i robot gestiscono più fasi del processo, i computer "ordinano" il trasporto dei prodotti sui pallet solo quando le quantità consentono un carico efficiente. E anche cambiando azienda il quadro non cambia. «Vede – ci spiega il direttore commerciale di Aermec Luigi Zucchi – in questa fase fanno tutto le macchine, le persone controllano e basta». I robot infilano in sequenza motore e ventole, le fissano ai supporti, tutto è automatico, tranne il test finale e l'imballaggio. Nell'azienda di Bevilacqua, 175 milioni di ricavi con 650 addetti, la ricerca assorbe il 3% del fatturato, l'adozione della lean production ha ridotto del 20% i tempi di attraversamento dei prodotti, le nuove maxi-camere di collaudo consentiranno di eliminare un collo di bottiglia nel processo, il risultato degli investimenti è visibile chiaramente in fabbrica, con dosi robuste di automazione nella parte più "standard" dei prodotti, cioè i ventilconvettori. L'azienda, guidata da un altro ramo della famiglia Riello, ha scelto di concentrarsi nel settore della climatizzazione, dunque non solo "caldo" ma soprattutto "freddo". Lo scorso anno è arrivata al record storico dei ricavi, con il 50% delle vendite all'estero, nel 2012 paga dazio alla crisi. «Italia ed Europa frenano – spiega Zucchi – solo l'extra-Ue garantisce margini di crescita, ecco perché ora vogliamo spingerci anche in Usa, Canada e Nuova Zelanda, allargando il più possibile i mercati di riferimento». Il nodo del settore, per Aermec come per altre aziende, è l'imprevedibilità del mercato, con picchi di domanda e poi vuoti improvvisi, flessibilità che si possono gestire solo attrezzandosi per tempo. «Qui abbiamo una sessantina di fornitori locali – spiega Zucchi – e la prossimità è un valore fondamentale quando devi reagire in tempi rapidi. L'altro asset è la disponibilità del personale: ad agosto abbiamo chiesto su base volontaria due settimane di lavoro in più per gestire un picco di ordini e il 70% dei dipendenti ha accettato».

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi