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Questo articolo è stato pubblicato il 02 gennaio 2013 alle ore 07:54.

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Aumenta il contenuto moda. Diminuisce il peso del metallo prezioso. La gioielleria aretina batte strade nuove. «Dai valori materiali, il distretto sta passando ai valori immateriali», dice Giovanni Raspini, argentiere con negozi a Roma e Milano (oltre che nella città toscana), 50 dipendenti e 9 milioni di ricavi a fine 2012 (+5% il valore aggiunto).

La crisi economica e l'impennata del prezzo dell'oro e delle altre materie prime pregiate (due facce della stessa medaglia) da una parte hanno favorito il comparto di affinamento metalli, dove sono cresciute aziende oggi importanti sotto il profilo dimensionale, come Italpreziosi (vedere altro servizio), Chimet, Tca, Safimet e Sampa, con un autentico boom delle esportazioni legate all'oro da investimento (+39% a settembre scorso); dall'altra stanno spingendo i gioiellieri del territorio, e non solo i piccoli, verso l'utilizzo di materiali meno costosi, alla ricerca di contenuti legati al design e alla creatività, fino all'incontro con le griffe della moda.
Il comparto dell'affinamento metalli registra ricavi per circa 5 miliardi (80% l'export), la gioielleria si attesta intorno ai 3 miliardi, la metà realizzati sui mercati internazionali. Vent'anni fa, i numeri del distretto parlavano di vendite per 8mila miliardi di lire (circa 4 miliardi di euro) al 90% nell'attività tradizionale di oreficerie e gioielleria.

«Oggi il 25% del nostro fatturato è legato ai grandi marchi: da Cartier a Pomellato, da Bulgari a Ferragamo», racconta Sergio Squarcialupi, proprietario, presidente e amministratore delegato di Unoaerre, rilevata un anno fa dalla liquidazione e in fase di rilancio, con 350 dipendenti (di cui 75 ancora in cassa integrazione), 30 milioni di valore aggiunto prodotto nel 2012 (130 milioni il fatturato con la materia prima) contro i 25,7 dell'anno prima, il 40% grazie all'export. «Stiamo recuperando quote di mercato, nonostante la congiuntura negativa», aggiunge.
Squarcialupi, 74 anni, è un po' la memoria storica del distretto: appena laureato in chimica, nel 1962, entrò proprio alla Unoaerre, all'epoca maggiore azienda orafa italiana (a una delle più grandi al mondo), di cui negli anni '90 è arrivato a essere l'amministratore delegato. Intanto, nel 1974, aveva creato la Chimet nel comparto del recupero dei metalli preziosi: oggi un gigante da 1,5 miliardi di ricavi e 130 dipendenti, guidato dal figlio Andrea. Il ritorno al vertice della Unoaerre, dopo le difficoltà che hanno portato all'uscita della famiglia Zucchi dall'azionariato del gruppo, è stato voluto dalle banche e sostenuto da istituzioni e sindacati.

«Il rilancio di Unoaerre è un fatto molto positivo, che dimostra la volontà di reindustrializzazione del distretto», commenta Daniele Quiriconi, segretario regionale della Cgil con delega alle attività produttive. «Le prospettive del territorio aretino sono migliori che altrove, ma il ricorso alla cassa integrazione aumentato del 19% secondo il dato di ottobre significa che non dobbiamo abbassare la guardia», dice ancora. La trasformazione del polo della gioielleria, del resto, origina proprio dalla crisi del settore, fotografata da questi numeri: 100 tonnellate di oro fisico lavorato contro le 400 di dieci anni fa, le imprese da 1.600 scese a 1.300, gli addetti da 10mila a 7.500. E, l'anno scorso, per la prima volta sono calati gli impieghi alle aziende del territorio (-6%).

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