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Questo articolo è stato pubblicato il 03 gennaio 2013 alle ore 06:44.

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ARZANO - Solo venti anni fa erano botteghe sparse tra il centro storico di Napoli e i sottoscala delle cittadine della provincia a nord del capoluogo, tra Casavatore, Casoria, Casandrino, Melito e Grumo Nevano. Oggi, venuti meno gli steccati tra i distretti originari, nella stessa area complessivamente intesa che si estende tra le province di Napoli e Caserta 150 aziende di cui almeno un 30 calzaturifici di alta qualità, con organici di 3mila persone circa, realizzano un prodotto di fascia medio alta e lavorano molto anche per grandi griffe oltre a essere fortemente orientate all'estero.

«Ferragamo, Dior, Saint Laurent, Gucci, Prada, Sergio Rossi, Fendi, Max Mara, Lvhm – dice Pasquale Della Pia, consigliere e membro della giunta dell'Anci (Associazione nazionale calzaturifici italiani) e consigliere nella sezione moda Confidustria Napoli, titolare del brand Dei Mille calzature donna di alta qualità – oggi trovano nel distretto campano la capacità di produrre quel lusso che poi esportano nel mondo». E ora, sta anche per costituirsi una rete d'impresa per migliorare la competitività del distretto all'estero e valorizzare le produzioni di qualità. Progetto su cui le imprese lavorano insieme alla regione Campania. Ed entro il mese sarà apposta la prima firma.
«Il calzaturiero napoletano – dice ancora Della Pia – è una realtà poco nota. Di solito si pensa che in Campania si producano solo Hogan false. Ma non è così». In totale nella regione si contano, per l'Anci, 432 aziende (il 7,4% del totale nazionale) e gli addetti ammontano a 5.812 (il 7,3%). L'85% delle imprese non supera i 50 addetti. La Campania è considerata una delle sette regioni calzaturiere italiane, anche se, in linea con le altre, a eccezione dell'Emilia Romagna, ha subito una contrazione del numero di imprese attive superiore al 5%. Così degli addetti che sono calati del 3,1%. In particolare l'area di Grumo Nevano, dove erano concentrate le produzioni di bassa qualità è stata totalmente cancellata dalla concorrenza sui mercati delle produzioni cinesi. In compenso negli ultimi anni, come rilevato dal Monitor di Intesa Sanpaolo sui Distretti industriali, le aziende superstiti di calzature napoletane hanno visto l'export crescere nel periodo gennaio-settembre 2011 rispetto allo stesso periodo del 2008 (anno pre crisi) del 6,4%.

Alta qualità e forte propensione all'export sono, a esempio, nel dna dell'azienda di Paolo Scàfora, di Casandrino (con un fatturato di 2 milioni), tra quelle che confezionano scarpe totalmente a mano. Scafora produce solo 15 paia da uomo al giorno, vendute (ai prezzi oscillanti tra 800 e 1.100 euro l'uno) per il 95% all'estero e solo per la piccola quota rimanente in Italia. Azienda giunta alla terza generazione, subendo una trasformazione radicale e molto rapida. La storia della Scàfora è simile a tante altre nel distretto meridionale: il nonno Vincenzo, lavorante in una bottega, in un basso del centro storico di Napoli, intorno agli anni 40, è il primo a segnare l'indirizzo seguito poi da figli e nipoti. I suoi otto figli cominciano, come lui, come ragazzi di bottega, ma negli anni 60 decidono di mettersi in proprio. Prima nel centro di Napoli, poi nella periferia di Secondigliano: ciascuno degli otto fratelli è specialista in una fase della produzione della scarpa. Tutti insieme cominciano la nuova avventura. Nel 1970 esportano il primo carico di scarpe. Destinazione: America. Poi si aggiungono altri mercati. In azienda arrivano i tre figli di Gennaro, la produzione cresce. «Una decina di anni fa producevamo mille paia di scarpe al giorno. Ma ci siamo resi conto che era ora di fare una scelta: più qualità o più produzione. Optammo per la prima soluzione e facemmo un cammino a ritroso per riorganizzare una lavorazione totalmente manuale con 25 dipendenti. Una scelta che ci ha permesso di affrontare senza colpo ferire la crisi» e mantenendo immutato un fatturato di 2 milioni, racconta Paolo Scàfora. Oggi, una settimana al mese, Paolo e i suoi fratelli si trasferiscono in Usa, in una suite d'albergo incontrano clienti danarosi e vip. E la crisi? «Non penso passerà – aggiunge l'imprenditore – i consumi sono calati. Bisogna tararsi su dimensioni più contenute. Per noi la soluzione è ancora nella qualità».

Del resto, sembra che nel distretto delle calzature, nel pieno della crisi non sia prevalso un orientamento "difensivo", volto a contenere i costi e, in particolare, ridimensionare il costo del lavoro. «Al contrario – precisa Antonio Ricciardi, docente di Scienze aziendali alla Facoltà di Economia della Università della Calabria ed esperto dei distretti industriali – ma si sono implementate strategie "d'attacco", dirette a rafforzare nel medio-lungo termine il posizionamento competitivo delle aziende. Il successo è determinato da specifiche strategie messe in campo da alcune aziende: spostamento sul target medio alto, buone capacità di creazione del prodotto , grande flessibilità per riassortire velocemente, disponibilità di risorse sufficienti per finanziare almeno due, tre collezioni all'anno».
Esemplare anche il caso del calzaturificio Dei Mille di Della Pia. Impresa che muove i primi passi nel 1926 per produrre calzature da donna di buona qualità. Da sei mesi trasferitasi in una nuova sede ad Arzano, costata un investimento da 1 milione. «La nostra azienda – riprende Della Pia – nata a carattere artigianale ha puntato nell'ultimo decennio su una produzione industriale di qualità. Era necessario per far fronte all'ingresso della Cina nel settore». Dalla fabbrica di Arzano escono 60 mila scatole di scarpe ogni anno, di cui il 40% ordinate da grandi griffe. La rimanente parte viene per il 75% esportato.

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