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Questo articolo è stato pubblicato il 19 gennaio 2013 alle ore 15:16.

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Qual è la vera piadina? La riminese (larga e sottile) o la "romagnola" (più alta e stretta man mano che si sale verso l'Emilia)? Sembrerebbe un dibattito fra buongustai. A torto però, visto che soprattutto su questo elemento si è giocata una partita lunga e senza esclusione di colpi, per arrivare a capire quale piadina avrebbe potuto fregiarsi del marchio Igp.

Del resto, un marchio di tutela - che prevede modi, ma anche luoghi di produzione – in un caso o nell'altro avrebbe lasciato fuori alcuni produttori. Da qui (anche se il dibattito si è poi esteso anche a ingredienti o uso dei conservanti) è partita una vicenda lunga e tormentata che, ora, è arrivata a un primo traguardo: la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto ministeriale di protezione della piadina romagnola Igp.

Al momento è un atto di tutela che vale solo a livello nazionale, prevedendo che - dai chioschi in Romagna alle aziende che forniscono gli stessi chioschi piuttosto che supermercati e Gdo di tutta Italia – il prodotto debba essere fatto solo in un certo modo ee esclusivamente in una determinata area di produzione.

«Le materie prime saranno esclusivamente farina, acqua, sale, strutto e/o olio di oliva ed eventualmente lievito. Non è consentito l'uso di conservanti, aromi ed altri additivi», precisa Elio Simoni, presidente del Consorzio di promozione della piadina romagnola. «L'area di produzione – aggiunge Simoni - coincide con le Province di Rimini, Forlì-Cesena, Ravenna e parte della Provincia di Bologna». In tutto, oltre ai chioschi si tratta quindi di una misura che al momento va a tutela della produzione di una quarantina di aziende che realizzano in totale un fatturato attorno ai 100 milioni di euro.

Solo loro potranno fregiarsi della denominazione e, un domani, del marchio. Che invece arriverà solo dopo il placet della Ue. Il disciplinare è stato inviato il 7 dicembre scorso a a Bruxelles, che ora prenderà i suoi tempi per decidere. Presumibilmente fra un passaggio e l'altro si dovrebbe arrivare al dunque entro un anno e mezzo. Troppo tempo? Chi pensasse questo e chi non si accontentasse ora della tutela nazionale non ha che da fare una rapido excursus della vicenda che ha portato all'attuale tutela transitoria nazionale.

Ci si renderebbe così conto del tenore di una disfida che ha generato discussioni infinite. Il progetto di riconoscimento del marchio Igp per la piadina è partito a metà 2002 su iniziativa della Cna di Ravenna. Si crearono subito due fazioni, l'un contro l'altra schierate per difendere il proprio concetto di piadina: la riminese o la "romagnola".

Il ministero delle Politiche agricole trovò la sintesi: due diverse richieste Igp. Era l'inizio del 2005. Si capì che la strada non era percorribile e quindi, anche alla luce di un nuovo regolamento comunitario più restrittivo (510/2006), il fronte si è ricompattato. Da qui l'iniziativa dell'Associazione produttori della provincia di Rimini (Confartigianato) e l'Associazione per la produzione della piadina romagnola Igp (Cna) che nel 2007 hanno avanzato formalmente una richiesta di Indicazione geografica protetta. Per la precisione, la tutela è stata chiesta per la piadina romagnola, con una variante per la "piadina romagnola alla riminese".

Da allora sono passati 4 anni di litigi – su forma e spessore, ma anche su qualche ingrediente - fino a ottobre 2011, con la presentazione di un primo disciplinare. Alla fine del 2012 arriva il disciplinare, concepito come nel 2007 riguardo a forma e spessore, che tiene conto delle osservazioni ritenute adeguate. Il 7 dicembre il discplinare stesso è stato inviato a Bruxelles. Intanto però la tutela sul territorio nazionale è «un risultato, non scontato, che permetterà di valorizzare un vero prodotto tipico, radicato nella storia e nella tradizione», ha dichiarato l'assessore regionale all'Agricoltura dell'Emilia-Romagna, Tiberio Rabboni.

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