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Questo articolo è stato pubblicato il 23 gennaio 2013 alle ore 10:56.

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La documentazione fotografica prodotta dall'azienda italiana Bonaveri a tutela del copyright in Cina sul manichino SchlappiLa documentazione fotografica prodotta dall'azienda italiana Bonaveri a tutela del copyright in Cina sul manichino Schlappi

SHANGHAI - La Cina muove un passo avanti sullo spinoso tema della proprietà intellettuale. E in particolare su un fronte parecchio controverso: quello dei diritti di copyright.
«Da qualche tempo la situazione è cambiata - spiega Claudio D'Agostino, partner di Dla Shanghai -. Oggi, producendo una documentazione che provi inconfutabilmente la titolarità del copyright, anche un'azienda straniera può far valere le proprie ragioni in qualsiasi tribunale cinese».
È una novità importante che potrebbe cambiare lo scenario per molte società estere che per anni - pur di non imbarcarsi in lunghe e costose azioni legali con esigue possibilità di vittoria - sono state costrette a chiudere un occhio (se non tutti e due) sulle violazioni dei diritti d'ingegno su oggetti non coperti da marchio o brevetto operate sistematicamente dai contraffattori cinesi.

Insomma, i tribunali cinesi sono diventati più attenti, sensibili e competenti sulla difesa del copyright. E, se l'oggetto del contendere non è di particolare interesse strategico (come, per esempio, l'automobile), giudicano i singoli casi con equità e senza partigianeria per le aziende di casa.
Lo dimostra un caso recente che ha avuto come protagonista proprio una società italiana. Bonaveri, un'azienda di Cento leader mondiale nella progettazione e produzione di manichini destinati alle grandi case di moda, qualche anno fa scopre che in Cina circola un suo famoso manichino chiamato Shlappi, contraffatto da un produttore locale. Gli investigatori della società emiliana si mettono subito al lavoro e scoprono che la copia, fedele e assai ben realizzata, del manichino è stata prodotta dalla Shanghai Chunfa Mannequins.

Bonaveri mette subito in mora la società cinese, rivendicando la proprietà intellettuale esclusiva dello Shlappi. Ma Chunfa rinvia le accuse al mittente, sostenendo di aver sviluppato in proprio quel manichino che per puro caso assomiglia tanto a quello di Bonaveri. E continua imperterrita a commercializzarlo sul mercato cinese.
La società emiliana, intimorita anche dalle difficoltà oggettive di intentare azioni legali oltre la Grande Muraglia su questioni legate al copyright, decide di non procedere oltre e di tollerare la concorrenza sleale di Chunfa. Che approfitta subito dell'acquiescenza di Bonaveri per inondare il mercato cinese con il falso Shlappi.
Ma nel 2011, quando scopre che ormai il falso manichino è esposto in bella mostra anche nelle vetrine di griffe dell'alta moda sue clienti storiche, Bonaveri passa al contrattacco e cita in giudizio Chunfa. Quest'ultima insiste sulla casuale verosimiglianza del suo manichino con lo Shlappi originale made in Italy.

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