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Questo articolo è stato pubblicato il 08 febbraio 2013 alle ore 06:44.

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MILANO
Cosa preoccupa maggiormente chi fa attività di impresa? L'incertezza. L'impossibilità di poter programmare investimenti, progetti, strategie con un margine sufficientemente lungo. «Abbiamo pianificato diverse strategie di crescita e di miglioramento della marginalità – dice Stefano Landi, presidente della Landi Renzo di Reggio Emilia – ma è evidente che non si può prescindere da un contesto macroeconomico che, su scala internazionale, ancora fatica a dare segni di miglioramento».
«Il tema della stabilità politica e l'impostazione del programma del nuovo Governo sui nodi dell'economia, è un fattore preoccupante. Le imprese - dice Paola Artioli, amministratore delegato di Aso Siderurgica di Ospitaletto (Brescia) – non hanno bisogno di sussidi o aiuti. Hanno bisogno di appartenere a un sistema che le supporti, che crei le condizioni favorevoli allo sviluppo e alla crescita in termini di politiche industriali per il manifatturiero, di un mercato del lavoro flessibile, di una politica energetica. L'aumento della produttività ormai può realizzarsi solo se questi e altri fattori verranno messi nell'agenda di Governo». Domenico Nardelli, direttore generale del gruppo Itn di Martina Franca, aggiunge: «O si rilancia l'economia e si rimettono in moto i consumi, oppure la situazione andrà verso un peggioramento progressivo».
Lampante il concetto espresso da Luigi Balli, titolare del Lanificio Fratelli Balli di Prato «Le aziende non sono un bancomat. La preoccupazione maggiore è l'assenza di ripresa economica accompagnata da una politica basata sui continui aggravi fiscali sulle imprese. Ma quando si aggredirà la spesa pubblica improduttiva?».
«Mi chiedo - dice Alberto Paccanelli, della Martinelli Ginetto Spa di Bergamo – se ha senso fare impresa in Italia con le attuali condizioni di contorno. Sono urgenti governabilità e interventi a favore di imprese e occupazione». Punta il dito anche Giancarlo Dani, amministratore delegato del Gruppo Dani di Vicenza. «Senza dubbio il quadro internazionale rimane incerto con il basso tasso di crescita delle economie occidentali. L'export è la nostra unica via di uscita. Ma attenzione all'instabilità della politica, con una classe dirigente che si dimostra, elezione dopo elezione, inadeguata ad accompagnare e guidare le imprese nella competizione internazionale».
Non è solo la politica a salire sul banco. Gli scogli affrontati nel 2012 non sono scomparsi, primo fra tutti il credit crunch. «Già lo scorso anno – spiega Bruno Di Stasio, presidente e amministratore delegato del gruppo Seven Invicta di Torino – abbiamo affrontato un peggioramento dell'accesso al credito, con il sistema bancario non legato al merito creditizio. E per quest'anno prevediamo un peggioramento di ciò, nonostante le ottime performance della società e il pieno rispetto dei piani industriali in corso».

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