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Questo articolo è stato pubblicato il 19 febbraio 2013 alle ore 06:43.

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Sempre peggio. La pubblica amministrazione italiana non è mai stata nell'Olimpo dei buoni pagatori, ma se si guardano i dati più recenti il quadro di pochi anni fa sembra evocare un'età dell'oro: solo negli investimenti, che rappresentano il cuore del problema, chi lavora con gli enti territoriali si è visto riconoscere nel 2012 il 31% in meno dei pagamenti rispetto a quattro anni fa.

Se si restringe il campo ai soli Comuni e Province, cioè gli enti sottoposti alla versione più dura del Patto di stabilità, il quadro peggiora ancora: i pagamenti in conto capitale dei sindaci sono crollati rispetto al 2008 del 36% (con una flessione del 13,8% concentrata nell'ultimo anno), e per le Province il barometro segna addirittura -44,4% (-19,3% tra 2011 e 2012). E più passa il tempo, più la dinamica dei pagamenti pubblici precipita: nel gennaio 2013 i Comuni hanno pagato investimenti per 918 milioni, con un capitombolo del 28,9% rispetto allo stesso mese dell'anno scorso, e dati analoghi si incontrano negli altri governi locali. Un avvitamento, che insieme ai pagamenti vede abbattersi lo stesso impegno negli investimenti.

Questa infilata di numeri, contenuti nelle banche dati con cui il ministero dell'Economia monitora in tempo reale i flussi di cassa della Pubblica amministrazione italiana, basta da sola a pesare il problema: mentre le contromisure messe in campo nel 2012 nel tentativo di aggirare gli effetti dei mancati pagamenti tramite la certificazione del credito stanno muovendo solo ora i primi passi, la mole del debito si è ingigantita a ritmi sempre crescenti. Nascono da qui i 140 miliardi di euro di «residui passivi», cioè di impegni di spesa non tradotti in versamenti effettivi, che Il Sole 24 Ore ha calcolato ieri con Bureau Van Dijk-Aida Pa e Corte dei conti nei consuntivi di tutti gli enti territoriali italiani. Circa 100 di questi miliardi sono incagliati da oltre 12 mesi, e con il rapido affievolirsi dei pagamenti registrati dall'Economia il prossimo aggiornamento non potrà che portare cattive notizie.

Alla base del fenomeno c'è la triade composta da Patto di stabilità, difficoltà crescenti di cassa degli enti territoriali (anche per effetto dei tagli lineari a ripetizione) e scarsa capacità di programmazione delle spese. Il risultato è il trasferimento sulle spalle dei fornitori di una quota crescente di debito pubblico, che per questa via evita di comparire nei bilanci ufficiali della Pa italiana. In lista d'attesa ci sono prima di tutto le imprese private, a partire da Confindustria che in base ai dati Bankitalia stima in 71 miliardi i debiti della Pa: «Noi – spiega Marcella Panucci, direttore generale di Confindustria – abbiamo chiesto che si paghino almeno i due terzi di questa stima, quindi 48 miliardi, perché questo darebbe una spinta forte immettendo liquidità nel sistema e consentendo una ripresa degli investimenti».

A far lievitare il conto, c'è il fatto che accanto ai privati ci sono anche pezzi di Pa che soffocano di mancati pagamenti: è il caso delle aziende pubbliche che a volte vantano nei confronti dell'ente di riferimento crediti superiori all'intero fatturato annuale, oltre agli enti di formazione, alle cooperative sociali e alle altre realtà che operano grazie ai finanziamenti locali. Il fenomeno si vede bene nelle voci più colpite negli investimenti regionali, che vedono frenare i trasferimenti in conto capitale a Comuni e Province determinando così l'effetto domino.

gianni.trovati@ilsole24ore.com

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