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Questo articolo è stato pubblicato il 19 febbraio 2013 alle ore 10:56.

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«Dobbiamo dare un'altra vita al made in Italy, siamo noi a chiedervelo!». A nome del Kazakhstan, l'ambasciatore Andrian Yelemessov sorride agli imprenditori in sala, più di un centinaio. Far conoscere agli italiani un mercato nuovo e le proposte di un'economia emergente in cerca di partner era l'obiettivo del convegno che si è svolto il 12 febbraio scorso a Roma; dall'altra parte, comune a molti la ragione per partecipare: «Sono qui perché dobbiamo trovare un modo per sopravvivere, e ormai la salvezza è all'estero», sintetizza Angelo Berni di Vitra, società di Anagni specializzata nella lavorazione di vetro piano per edilizia e arredamento. Che cosa può offrire il Kazakhstan?

«Vent'anni fa eravamo poverissimi - racconta l'ambasciatore Yelemessov - non c'era pane nei negozi e, pur producendo petrolio, non avevamo benzina. Da allora la situazione è cambiata completamente. Perché vi chiediamo di venire? Perché il Kazakhstan è un Paese sicuro, gli investimenti sono protetti dallo Stato». Dal 1991, l'indipendenza dall'Urss è stata gestita da un solo uomo forte, il presidente Nursultan Nazarbajev, deciso a restare al timone finché la salute glielo consentirà. È il padre di una nazione che in epoca sovietica si sentiva relegata a destinazione finale per tutto ciò che veniva scartato, dalle scorie nucleari ai deportati, e che in questi vent'anni ha ritrovato l'orgoglio di emergere tra i Paesi dell'Asia centrale. Benedetta dalle risorse naturali, corteggiata dalle compagnie energetiche di tutto il mondo.

Oggi il Kazakhstan vuole mettere l'accento sullo sviluppo di altri settori. Prima del 2008 la sua economia cresceva in media del 10% l'anno, ritmo ridimensionato al 5,7/6% che il Fondo monetario internazionale stima per questo e il prossimo anno. «Stiamo gradualmente diversificando - spiega Nazarbajev nella Strategia disegnata per il Paese da qui al 2050 -, dobbiamo renderci indipendenti dalle oscillazioni dei prezzi mondiali delle materie prime».

«Stiamo facendo ogni sforzo per attirare investimenti e sostenere lo sviluppo del business - assicura a Roma l'ambasciatore Yelemessov - utilizzeremo tutte le nostre capacità. E non troverete burocrazia in ambasciata». Il primo settore che cita è l'agroalimentare, affamato di sviluppo e tecnologie in un Paese immenso di soli 17 milioni di abitanti, accanto alle prospettive dell'industria dell'auto, logistica, edilizia, turismo e trasporti. Attraverso il Kazakhstan, ponte naturale tra la Cina ed Europa, sta rinascendo una moderna Via della Seta, ferroviaria e autostradale.

Ma un Paese lontano, e in transizione, non è comunque da affrontare da soli. Tra le "bussole" che possono aiutare a orientarsi, a Roma è stata presentata l'Associazione "Iepa Italia Kazakhstan". «L'esternalizzazione è spesso un compito arduo, per questo abbiamo deciso di promuovere un'iniziativa che aiuti ad avvicinare la realtà kazaka - spiega l'avvocato Giulio Stoppa, responsabile legale dell'Associazione -. Il Kazakhstan è un Paese che ha una sensibilità, una velocità e un rispetto molto puntuali verso le imprese straniere». Testi unici sulla tutela dei brevetti, legge sulle energie rinnovabili: «Questo Paese si è posto delle domande e ha saputo rispondere alle difficoltà che gli imprenditori invece trovano in altri Paesi», conclude Stoppa.

Un altro strumento sono le missioni di Confindustria. «Internazionalizzazione oggi, a nostro modo di vedere, è prendere la borsa e andare, anche rischiando - dice Marco Oriolo, vicepresidente dei Giovani imprenditori e coordinatore di una missione che nell'ottobre scorso ha portato ad Almaty 50 aziende italiane, esperienza che in marzo proseguirà con la creazione di un portale dedicato all'internazionalizzazione -. La bilancia commerciale è la leva che abbiamo per uscire più velocemente dalla crisi». E internazionalizzazione, ripete Oriolo, non significa più soltanto esportare. In Kazakhstan così come in tanti altri Paesi vengono privilegiate le aziende che si fermano, che si danno un contenuto locale.

È una richiesta sempre più pressante da parte delle autorità kazake. Maturata negli anni accanto alla presa di coscienza delle ricchezze del Paese e della determinazione dello Stato a controllarle più da vicino. Gli analisti lo chiamano "nazionalismo economico", lo ha sperimentato per primo il settore dell'energia, che negli anni 90 ha spalancato le porte a Eni e ad altri investitori stranieri per poi irrigidire le regole. «Il messaggio, soprattutto per chi investe nei grandi progetti, è chiaro - scriveva alcuni mesi fa Gemma Ferst, specialista dell'area per Eurasia Group -. Alle compagnie straniere si chiede di non essere più semplicemente business partners. Solo le imprese straniere pronte a contribuire alla diversificazione economica e alla stabilizzazione sociale del Kazakhstan avranno fortuna».

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